venerdì 17 settembre 2010

Ma le prefazioni servono?


Dialogando via mail con Daniele Maria Pegorari, professore aggregato di letteratura italiana contemporanea presso l'Università di Bari, studioso molto conosciuto anche in rete per la qualità dei suoi studi (ricordo il tema dell'ultimo suo libro Critico e testimone. Storia militante della poesia italiana 1948 – 2008, Moretti & Vitali 2009), mi diceva: «Sai cosa penso da un po' di tempo? Che le prefazioni dovrebbero essere abolite e magari sostituite (se l'autore ne sente il bisogno) con un'autodichiarazione, un'indicazione di lettura. Il vero genere "principe" del critico militante è la recensione, non la prefazione, che in genere è anche ad alto rischio di ipocrisia... E poi: perché la poesia deve essere accompagnata da una prefazione critica e un romanzo no? Non certifichiamo in questo modo che l'"autore"-poeta, per essere "autorevole", dev'essere "autorizzato" da un altro "autore"-critico?».

La questione merita senz'altro un approfondimento, cui invito tutti a partecipare. La mia idea è la seguente: tenendo conto dell'esperienza, devo dire che trovo utili le prefazioni che evidenziano alcuni aspetti del libro oppure quelle che azzardano una linea interpretativa (sovrapponendosi, in questo aspetto, alla recensione). Questo secondo modo, cerco anch'io di praticarlo (spero lo si colga anche nei prossimi libri che ho prefato, in uscita entro l'anno: quello di Matteo Bonsante, edito da Manni, e quello di Erika Crosara, vincitore del premio "Montano", curato da Anterem). Trovo invece irritanti quei testi che, approfittando dell'occasione, parlano di tutt'altro, scritti spesso per ribadire un punto di vista già evidenziato altrove. Oppure, trovo inutili quelle prefazioni che dicono l'ovvio, fatte da persone incompetenti e presuntuose. In generale, dunque, la prefazione ben fatta (e alla quale sia stato concesso uno spazio adeguato), mi fa conoscere elementi extratestuali e paratestuali altrimenti inavvicinabili, oltre che iniziarmi all'idioletto dell'autore: nella misura in cui, infatti, la poesia scarta di lato rispetto alla norma, siamo costretti ad ammettere che la natura comunitaria della lingua viene parzialmente meno, torcendosi secondo spinte di carattere affettivo, immaginativo e simbolico che chiedono un intermediario: il critico, appunto. Ciò non toglie che un'autopresentazione sia auspicabile, ma non mi pare sufficiente (e su questo credo sia d'accordo anche Daniele, altrimenti non farebbe il critico militante).

Ecco, in definitiva: sì alla prefazione; non per certificare il valore dell'autore, bensì per aiutare il lettore ad orientarsi, ben sapendo che poi, il lettore, se ne andrà per la propria strada.

56 commenti:

  1. concordo
    sebastiano

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  2. Concordo pure io.
    In passato ho usato anche il sistema della nota e va bene, diciamo che la prefazione può dire qualcosa in più. Un saluto. nadia agustoni

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  3. quindi dite: prefazione sì a patto che serva a mettere in luce i nodi critici del testo.

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  4. Personalmente non leggo mai le prefazioni prima della prima lettura di un testo (sia esso una raccolta di poesia o qualunque altra cosa). La leggo alla fine, o subito prima di iniziare la seconda lettura dello stesso testo.
    La prefazione è un mezzo e in quanto tale è "neutro". Dipende da come e perché lo si usa. Molto spesso mi capita di leggere prefazioni retoriche e scontate, dove palesemente si percepisce la mancanza di una lettura approfondita del testo, di conoscenza dell'autore e di spunti di riflessioni.
    Quello che personalmente apprezzo in una prefazione e l'assenza quasi assoluta di pose retoriche previste dal contesto, proposte di chiavi di lettura motivate, magari con citazioni del testo e magari una introduzione al testo anche attraverso una presentazione dell'autore e del suo percorso fino al testo in questione. Mi rendo conto però, che magari questa non è una prefazione. Però a me piacerebbe trovarla in una raccolta. Magari alla fine e non all'inizio (postfazione). Una postfazione mi darebbe più l0impressione di una ricerca di un dialogo con il lettore alla fine della lettura. Quindi una estensione, una prosecuzione del libro oltre la sua ultima pagina.
    Luigi B.

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  5. sono d'accordo su una postfazione, meglio che prefazione, che abbia le caratteristiche da te espresse, un'analisi-studio accurata e personale che accenda luci su temi, substrati e linguaggio dell'autore. dal momento che molti mi dicono- anch'io lo faccio di saltare a piè pari le prefazioni, riservandole a dopo la lettura dei testi. dunque una postfazione che accompagni il libro non come avallo da parte di nomi più o meno di prestigio, ma come apporto circostanziato di chi ha voluto porsi in empatia con la sua voce. un brevissimo estratto ,semmai, di questo apporto ,potrebbe figurare sul retrocopertina come discreto invito alla lettura.
    Annamaria Ferramosca

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  6. sono tra quelli che leggono raramente le prefazioni e solo dopo.
    alle volte, ad essere sincera, non le capisco nemmeno tanto... :)
    trovo utili le postfazioni che aiutano ad orientarsi nel testo. come a dire: prima faccio visita da sola, poi, se ne ho voglia/bisogno chiedo lumi...
    ma su tutto preferisco le note che l'autore/autrice stesso/a decide di mettere. quelle mi piacciono proprio, per dirla semplicemente.

    aggiungiamo il fatto che, tra i giovani soprattutto, le prefazioni di autori "importanti" sembrano essere un marchio necessario per confermare la validità del proprio lavoro? ma forse è un'altra questione, questa...
    s.

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  7. ma quali sono le differenze fra pre-azione e post-fazione (al di là dell'evidenza: la prima va letta anticipatamente al testo, la seconda, dopo)?

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  8. Margherita Ealla19/9/10 16:00

    Magari le prefazioni si prendessero la briga e la responsabilità di
    perimetrare, se non “il valore dell'autore”, almeno la sua esistenza
    in vita (letteraria),
    spesso, come dici tu gugl, si limitano prudentemente (forse
    ipocritamente) a ribadire l'ovvio
    (che cmq non è meno ovvio se a dirlo è una persona competente e/o non
    presuntuosa),
    quando non lo enfatizzano in un effetto trailer piuttosto artificioso,
    se non grottesco, altre volte sono fatte con gli stampini, altre
    parlano d'altro, o, di bene in meglio, sono un pretesto per dire non
    dell'opera (e dell'autore), ma di chi scrive la prefazione.
    Ciò non toglie, come alla fine tu gugl sottolinei, che uno (il
    lettore) se ne possa bellamente fregare
    (e spesso, incontrando certe prefazioni, se ne frega),
    farsi da sé un viatico, andare a lume del proprio, ma viene meno
    quella specie di fiduciosa leggerezza iniziale del potersi godere la
    lettura perché altri, insieme con noi sulla mongolfiera, la rendono
    condivisa e sollevata, alzando i nodi cruciali, calandoli quando
    occorre tornare, al di là dell'enfasi e degli entusiasmi, con i piedi
    per terra.
    Insomma, per usare le tue parole, serve, sì, può servire, qualcuno che
    metta occhio alla “misura in cui, infatti, la poesia scarta di lato
    rispetto alla norma”, giusto per non avvitarsi su di sé nello spazio
    o schiantarsi nelle/delle proprie letture;
    per il resto il lettore navigato, a partire da queste eventuali
    coordinate, usa poi il proprio navigatore.

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  9. io sinceramente non leggo mai le prefazioni dei libri di poesia. e quando dico mai è veramente mai!
    ne ho scritta una da poco per l'ultimo libro di A. Vailati ma anche scrivendola, speravo, in cuor mio, che nessuno poi la leggesse.
    per me la poesia non ha mai bisogno di prefazione, deve rimanere soggettiva fino in fondo.

    Anila Resuli

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  10. @ gugl: a mio avviso la prefazione introduce ad un testo e se è fatta bene (quasi mai) offre degli spunti di lettura. La metodologia è "frontale".

    La postfazione ha un approccio diverso (sempre se fatta bene), meno frontale, più disponibile allo scambio. Non introduce il testo ma lo analizza a posteriori, dopo la lettura. Il postfattore e il lettore sono sullo stesso piano: entrambi si sono fatti una idea della raccolta e dell'autore e la postfazione è un modo per "dialogare" e, molto più importante, fare in modo che la raccolta prosegua dopo l'ultima poesia sull'ultima pagina. È uno spronare al discorso, alla riflessione, allo scambio, a domandarsi etc.
    Luigi

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  11. maallora, se è vero quel che dite, che senso ha che io scriva "cappelli" (ossia brevi prefazioni) alle poesie?

    Tenete conto che i poeti ci tengono ad avere un'opinione fondata sulle sui loro lavori (e pefazione è anche "opinione fondata" intorno a qualcosa

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  12. Ma per cappelli intendi le "introduzioni" nel blog? In questo caso è distinto, perché il blog stesso come medium non può prescindere da un dialog o trasmissione di pensiero da mettere in discussione.

    Una prefazione o cappello in un libro di testo si pone prima del testo, ovvero davanti e prima del lettore, ovvero "sopra". Una postfazione, invece, credo abbia una predisposizione diversa sia nei confronti del testo che del lettore. È una appendice che non precede (o prevarica) il testo, non da indicazioni di lettura, non introduce, non delinea a-priori (per il lettore ovviamente); è una prosecuzione della raccolta, una conseguenza, una maniera di riflettere sulla stessa dopo la lettura e quindi di continuarla, un prolungamento.
    Se i poeti ci tengono ad avere una opinione fondata intorno ai loro lavori, lo è anche una postfazione. E poi io/noi essendo lettori sappiamo cosa piace a me/noi :)
    Luigi

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  13. Caro Stefano,
    sono perfettamente d'accordo.La prefazione è utile so sole se orienta criticamente il lettore e aggiunge qualcosa di originalenell'analisi del testo.Basta alle prefazioni autoreferenziali.
    nicola vacca

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  14. @ Luigi: i cappelli vorrebbero infatti funzionare come una prefazione. da leggere prima per dare al lettore alcune chiavi. Ovvio che non sono apidittiche, bensì ermeneutiche, fondate sul dialogo mai sazio tra testo e lettore.
    Sono d'accordo con quanto dici sulla postfazione, anche se spesso gli editori mettono insieme i due processi.

    grazie Micola per il commento.

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  15. Caro gugl, le tue note militanti, anche in blog, fanno da lettura formale; quando fra 5-10 anni il tempo sedimentera' quei libri, le note rimarranno come testimonianza del tempo corrente, almeno quello. La tua disposizione personale, oltre che la tua autorevolezza e posizione intellettuale, fa onore a te prima che agli ospitati.

    Su prefazione e postfazione: mi pare che una certa etichetta sia venuta meno e che molti respingano l'introduzione critica come marchetta o patente o sproloquio; in realta' si tratta di fili, riscontri ponderati quando fatti con cuore e raziocinio. Diciamo piuttosto che molte prefazioni o postfazioni sono sciatte: ne' amichevoli ne' critiche, ne' compagne ne' maestre. Anche quello e' un lavoro da fare con perizia.

    Ciao. GiusCo.

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  16. i sordi ce vonno, prefazzioni e postefazzioni, e cappelli e cappellate, c e vonno sordi!
    Giovanni Lira

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  17. Grazie GisCo.

    E ci vorrebbero i soldì, vero, non solo per le prefazioni, ma anche per le recensioni eccetera, come capita in altri Paesi. Però, mancando quelli, stiamo zitti e buoni?

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  18. io le prefazioni le leggo sempre, belle o brutte che siano, prima, dopo e/o durante la lettura dei libri...qualcosa ne viene fuori sempre...

    rc

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  19. Per lo stesso motivo , a cosa servirebbero allora le presentazioni alle personali di pittori, scultori, artisti in genere? Se la prefazione o la postfazione è scritta con competenza , è uno strumento molto utile ; il lettore , a seconda della sua personalità , può scegliere di leggerla prima, dopo oppure di non leggerla affatto. Da parte mia, alcune prefazioni che ho letto prima e non riuscivo a capire, dopo la lettura dei testi poetici sono divenute illuminanti e mi hanno aperto nuove vie: non esiste una regola universale bensì un dialogo continuo , un "fare poesia insieme".

    S.Z.

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  20. io credo che le prefazioni abbiano tre funzioni: 1)fare "il debutto in società" a chicchessia 2)orientare il lettore nel testo che segue 3)dare lavoro a chi scrive le suddette.
    credo che il bello di un testo sia la libera interpretazione.
    leggere una prefazione (prima) è come guardare sul giornale come finirà il film di stasera. leggerla dopo, per curiosità, può aiutare a farsi un'idea dell'autore, della sua linea di pensiero ecc ecc.
    ma perché un testo sia ben scritto bisogna "conoscere" l'autore? un testo si dovrebbe giudicare indipendentemente dal nome e cognome che l'ha pensato, metabolizzato e messo per iscritto.

    azzurra de paola

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  21. Non concordo con quanto scritto da Azzurra ; il giudizio estetico non è un giudizio nè anarchico nè assoluto, bensì va aiutato a crescere e a maturare, altrimenti si rimane sempre nello stesso posto. Per questo ci vuole umiltà , bisogna ritornare molte volte sull' opera per poter sentire e capire ; umiltà anche di ascoltare altre voci diverse dalla propria.

    Auguro ad Azzurra di scrivere molte prefazioni di poeti: forse capirà che con esse difficilmente ci si arricchisce.

    S.Z.

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  22. @S.Z.

    non era un giudizio critico, il mio. è chiar che quando si fa un lavoro si dovrebbe guadagnare in maniera proporzionata.
    io non credo avrò occasione di scrivere prefazioni perchè non è il mio lavoro.
    quanto al ritornare sull'opera: bisogna rileggere e rileggere mille volte per sentire la voce che trasuda dal testo. ed il bello credo stia proprio nel fatto che non è la nostra voce che ascoltiamo, leggendo. quindi, asono d'accordo. rileggere ancora e ancora per capire, per sentire.
    ma per fare questo, basta leggere l'autore.
    non ciò che di lui hanno scritto. poiché questo sarebbe un pensare con la testa di chi ha scritto la prefazione.
    c'è qualcosa di poco umile in ciò che ho appena detto?

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  23. c'è qualcosa di amorevole nel leggere un autore senza dargli delle specifiche.
    significa amare (per dirla alla heidegger) il suo esser-ci autentico.

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  24. credo che leggere-insieme sia più heideggeriano che leggere da soli: l'interpretazione individuale avviene sempre in un orizzonte di senso condiviso (anche se non ce ne rendiamo conto). condiviso e plurale, ma mai unico, esclusivo.

    Il ci dell'eserci, essendo gettatezza in una terra che è in-comune, non può che partecipare dell'apertura storico-linguistica. dunque: non si è mai soli quandso si legge e, tantomento, quando si pensa.

    un caro saluto ad Alice e al suo paese meraviglioso.

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  25. @gugl
    leggere-insieme è una specie di chimera.
    si può "leggere-insieme" all'autore e al suo contesto in un milione di modi e sentirsi parte.
    ma poi a volte le persone vere, quelle con la carne e le ossa e anche l'anima (se siamo fortunati), scarseggiano.
    almeno qui, nel mio paese delle meraviglie.
    capita che le persone leggano poco e male e i libri - certo libri - assomiglino sempre più ai programmi televisivi. facili. fruibili. godibili. senza "effetto elastico": la sensazione di ritorno quando apri la tua mente al libro e il libro ti risponde. ti riempie.
    un caro saluto anche a gugl e a tutti

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  26. sì, hai ragione, ma si presuppone che, il prefatore, sia autorevole perché conosce altri libridell'autore e ha letto molta cricia letterrai,a filosofia eccetera. quindi la sua opinione non è legato al gusto, ma ad un confronto serrato con una poetica (quella dell'autore) e con le linee dominanti di un'epoca.

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  27. io non volevo rispondere. perché sennò dicono che sono pignola. ma siccome lo sono alla fine eccomi qui.
    io credo - provengo dritta dritta dalla scuola di wittgenstein e dei mentalisti - che non si possa scrivere qualcosa scevro da un punto di vista strettamente personale. credo che si possa essere molto obiettivi, questo sì. ma non ho mai creduto all'essere asettici - grazie a dio. e qui la butto sulla leggerezza delle pubblicità (perché sennò oltre chi pignola chissà che altro mi dicono) e cito: senza cuore saremmo solo macchine.

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  28. @gugl E mi scuso perché ho letto che sei autorevole, che hai ospiti di grande spessore culturale. io invece sono solo una bambinetta spuntata da una favola. quindi mi scuso con tutti, da qui e sempre, se ho detto o dirò sciocchezze. partecipare alle vostre discussioni mi aiuterà a imparare. ad maiora.

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  29. Io leggo solo la prefazione e la postfazione e mai il libro :)
    A parte gli scherzi volevo fare una domanda a Stefano o anche agli ospiti
    e la domanda è questa: le prefazioni ci sono sempre state, o iniziano in un periodo preciso?
    Un saluto a tutti,
    vincenzo celli

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  30. Alice Azzurra


    forse la mia risposta al tuo post precedente poteva sembrare un po' acida, ma non era questo il mio intento : voleva essere solo scherzosa , ma evidentemente non mi sono espresso bene. Il succo del discorso voleva essere questo: "occhio ai luoghi comuni , possono essere pregiudizi" .Questo comunque dimostra quanto difficile possa essere comunicare correttamente con gli altri ,e quindi anche scrivere prefazioni autorevoli.L' importanza del contrappunto dialettico nel blog è essenziale, poichè il blog serve per confrontarsi: se tutti la pensiamo allo stesso modo,il blog termina ancora prima di partire.
    Alice non è solo una bambinetta, è una delle figure più importanti della letteratura contemporanea; se poi conosce Wittgenstein , diventa anche pericolosa !

    S.Z.

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  31. A Vincenzo Celli


    forse non è solo una battuta ; c' è uno scrittore italiano "fuori dagli schemi" che ha scritto qualcosa al riguardo. Le lascio il titolo del libro:

    " Non leggete i libri
    fateveli raccontare
    sei lezioni per diventare un intellettuale"

    Autore : Luciano Bianciardi

    Tipologia: Critica sociale
    Editore: Stampa alternativa, rist. 2008


    S.Z.

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  32. @vincenzo celli
    "Il primo libro in cui compare una prefazione, propriamente detta, è l'Apuleio, stampato da Sweynheim e Pannartz a Roma nel 1469" (cit.)
    @S.Z.
    non mi ero affatto offesa. anzi. preferisco le persone dirette ai giri di parole.

    RispondiElimina
  33. a S.Z. lo sapevo che fare battute
    è sempre pericoloso :)
    adesso mi toccherà leggere il libro
    prefazione compresa :)))
    un saluto,
    vincenzo celli

    RispondiElimina
  34. ad Alice, grazie per l'informazione.
    Vicenzo celli

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  35. Mario Bertasa21/9/10 21:51

    da un po' di tempo sto cullando l'idea di autocommentarmi con un'inter-fazione

    presto spero di potervi sottoporre il risultato dell'esperimento

    ho un'obiezione al ragionamento di Pegorari: io ho letto diversi romanzi accompagnati da una prefazione: erano tutti accomunati da un dato, l'essere storicizzati rispetto al tempo presente in cui l'editore sforna il suo prodotto librario. Il che non vuol dire solo essere stati scritti nel passato: vi sono romanzi, spesso "di grido", che possono benissimo essere fruiti senza alcuna intermediazione di apparati testuali, nemmeno epigrafi o dediche, altri che invece sollecitano approcci mediati, e ci sono editori sensibili a tali necessità, altri meno

    scusate se sono generico (di fretta) e non elaboro una casistica bibliograficamente ragionata, ma quest'idea di Pegoraro non credo trovi riscontro nella realtà

    rimane vero invece che nell'ambito dell'editoria di poesia far uscire libri senza prefazione sia sentito come una dichiarazione troppo spiattellata che "me lo sono fatto da me e ci ho pure investito dei soldi", è purtroppo mentalità pervasiva, per cui la prefazione, prima ancora che essere il "battesimo" di un padrino dalla stima riconosciuta, è troppo spesso sentita come una necessarissima foglia di fico

    ho in libreria un libro di poesia illeggibile prefato da un autorevole docente universitario (per carità d'animo non faccio nomi né dell'autore né del prefatore), di tale docente ho avuto più volte occasione di verificare la serietà e l'attendibilità e il rigore filologico, che però di fronte alla lettura di tale scombiccherata sua prefazione all'illeggibile libercolo vacillò come un piede argilloso - insomma: una colossale foglia di fico

    da questa selva ficosa aspra e forte nasce la recondita ragione di questo vivace dibattito, e altrettanto immagino la reazione metodologica di Gugl che condividio in pieno, anche perché in questo frangente storico forse è l'unico modo per salvaguardare un genere, quello della prefazione, scaduto a sottoprodotto d'una pseudocultura

    anche a me una volta, dopo aver letto l'introduzione che scrissi di un'amica in un'antologia composta in ua cerchia di studenti di lettere, Silvia Monti chiese: "ma le pensavi davvero quelle cose?", con tanta serenità oggi alla risposta di allora: "sì" aggiungo: "però le direi con un linguaggio il meno possibile marchiato di... prefazionese"

    RispondiElimina
  36. Mario Bertasa21/9/10 21:51

    da un po' di tempo sto cullando l'idea di autocommentarmi con un'inter-fazione

    presto spero di potervi sottoporre il risultato dell'esperimento

    ho un'obiezione al ragionamento di Pegorari: io ho letto diversi romanzi accompagnati da una prefazione: erano tutti accomunati da un dato, l'essere storicizzati rispetto al tempo presente in cui l'editore sforna il suo prodotto librario. Il che non vuol dire solo essere stati scritti nel passato: vi sono romanzi, spesso "di grido", che possono benissimo essere fruiti senza alcuna intermediazione di apparati testuali, nemmeno epigrafi o dediche, altri che invece sollecitano approcci mediati, e ci sono editori sensibili a tali necessità, altri meno

    scusate se sono generico (di fretta) e non elaboro una casistica bibliograficamente ragionata, ma quest'idea di Pegoraro non credo trovi riscontro nella realtà

    rimane vero invece che nell'ambito dell'editoria di poesia far uscire libri senza prefazione sia sentito come una dichiarazione troppo spiattellata che "me lo sono fatto da me e ci ho pure investito dei soldi", è purtroppo mentalità pervasiva, per cui la prefazione, prima ancora che essere il "battesimo" di un padrino dalla stima riconosciuta, è troppo spesso sentita come una necessarissima foglia di fico

    ho in libreria un libro di poesia illeggibile prefato da un autorevole docente universitario (per carità d'animo non faccio nomi né dell'autore né del prefatore), di tale docente ho avuto più volte occasione di verificare la serietà e l'attendibilità e il rigore filologico, che però di fronte alla lettura di tale scombiccherata sua prefazione all'illeggibile libercolo vacillò come un piede argilloso - insomma: una colossale foglia di fico

    da questa selva ficosa aspra e forte nasce la recondita ragione di questo vivace dibattito, e altrettanto immagino la reazione metodologica di Gugl che condividio in pieno, anche perché in questo frangente storico forse è l'unico modo per salvaguardare un genere, quello della prefazione, scaduto a sottoprodotto d'una pseudocultura

    anche a me una volta, dopo aver letto l'introduzione che scrissi di un'amica in un'antologia composta in ua cerchia di studenti di lettere, Silvia Monti chiese: "ma le pensavi davvero quelle cose?", con tanta serenità oggi alla risposta di allora: "sì" aggiungo: "però le direi con un linguaggio il meno possibile marchiato di... prefazionese"

    RispondiElimina
  37. Mario Bertasa21/9/10 21:53

    scusate per il doppio invio del commento, non ho capito che cosa sia successo...

    RispondiElimina
  38. @vincenzo celli
    "...pubblicò la sua opera intitolata In Calumniatortm Platonis che fu poi stampata in Roma senza nota di anno da due celebri stampatori Pannartz e Sweinhcim autori della prefazione già accennata all'Apuleio redatta nel 1469 dove si afferma che il cardinale avea di fresco intrapresa e compita quest'opera Definsioms Pia tonicae liiros nupcr tcriiere adgrrssus tanta majestate et felicitate egi et Ma essa non doveva [...]“
    Storia della Letteratura Italiana vol 2 di G. Tiraboschi

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  39. per rispondere a stefano (riguardo i suoi cappelli introduttivi sul blog) mi vien da dire che quando li leggo lo faccio per la curiosità di sapere cosa pensi tu riguardo all'autore che presenti.

    la persona del prefatore potrebbe essere un "marchio di garanzia"? mi spiego meglio: se stimo un autore/critico e costui si interessa di un autore mi sento più invogliata a conoscerlo.

    s.

    RispondiElimina
  40. ringrazio tutti per i commenti. Un saluto particolare ad Azzurra, che è una nuova lettrice di Blanc (se non sbaglio) assai dotta e che ha risposto molto meglio di me a Vincenzo

    mi fa piacere che anche Mario e Sergio spezzino una lancia per la prefazione, genere tanvolta annacquato da troppo pressapochismo o irritante per troppo tecnicismo.

    RispondiElimina
  41. grazie a te gugl e a tutti per le discussioni interessanti. sì, sono nuova a seguire e trovo tutto molto ben fatto. complimenti e a presto

    RispondiElimina
  42. e scusate, non volevo ostentare cultura o nozionismo, volevo solo dire "eccomi, sono nuova ma sono all'altezza o almeno ci provo"

    RispondiElimina
  43. A Mario Bertasa


    divertente l' interfazione :-);
    si potrebbe anche pubblicare una poesia come prefazione ad una postfazione.

    S.Z.

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  44. Mario Bertasa22/9/10 22:54

    @ Silvia

    ma non trovi che molte volte vedere che un autore non conosciuto sia prefato da un critico o da un autore conosciuto, purtroppo scatena retropensieri tipo "certo, è amico di Tizio" o "ecco, si è messo alla corte di Caio"?

    non possiamo negare il malcostume di autori/critici, o sempilcemente critici, che intendono la manifestazione di stroncature o plausi come distribuzione di bollini di consenso/dissenso da appiccicare sul tagliando di raccolta che al momento giusto presenteranno in cassa per ritirare il sudato e meritato premio omaggio fedeltà - e che la prefazione (così come l'inserimento in antologie, riviste, giurie, ecc.) costituisca di fatto un mero strumento di palettatura dei confini di un feudo

    io vorrei che fosse davvero come tu dici: una sorta di marchio d'origine controllata e protetta, tanto è fragile la biodiversità della poesia. Però il senso del pre-/post-fare è stato messo in crisi proprio da critici e autori di vasto sapere e competenza, che hanno giocato al ribasso le loro qualità intellettuali nel consolidamento di una (presunta) leadership culturale o di un cadreghino fruttifero, proprio nel rovescio della medaglia degli istituti testuali in cui si sono adoperati: se ti scrivo una prefazione, creo un legame...

    RispondiElimina
  45. Mario Bertasa22/9/10 22:56

    @ S.Z.
    mi hai dato una grande idea! (non scherzo) GRAZIE!!!

    RispondiElimina
  46. Quello che non so è dove nasce una prefazione, quale sia questo passaggio che segue la chiusura di un testo. La richiede l’autore? L’editore? il testo? Il lettore? a me manca la dinamica di questo passaggio, la sua sequenza temporale. Penso anche che una bella prefazione che mantenga il giusto equilibrio fra prefatore-opera-autore-opera-lettore sia uno strumento per liberare la mente al lettore predisponendolo ad aprirsi alla lettura, così come una postfazione può aprire un varco verso riflessioni autonome e non indotte. Il punto è che l’enorme quantità di poesia edita o anche semplicemente proposta ci sta abituando ad una tipologia di prefazioni che paradossalmente sembra potersi adattare ad introdurre tutto e tutti diluendo così la sua funzione, a volte anche la sua credibilità. A volte adottano un linguaggio accademico eccessivo, a volte sembrano un puro esercizio di stile, altre sembrano buttate giù quasi uscissero da una catena di montaggio.
    .La prefazione con cui mi ha conquistata Jack Spicer è fra le più originali che ho letto. È un apocrifo. Spicer stesso scrive l’introduzione ad “After Lorca” assumendo la voce di Lorca morto già da alcuni decenni. Apparentemente può risultare poco ortodossa ma in realtà ci offre, senza invadenza, la chiave di lettura dei testi che introduce semplicemente diventandone parte nella struttura. Mi colpì, mi affascinò ed è per questo che quando F.Marotta gentilmente le ha ospitate ho fatto precedere alcune traduzioni nell’unico modo che sentivo per quello che la sua lettura mi aveva dato e insegnato: “una poe-fazione”e firmando un apocrifo a suo nome con le mie note biografiche. Questo per dire quanto può dare una prefazione, e quanto ingiusto sia quando fallisce.
    Personalmente penso che ad una prefazione un testo debba giungere, che debba procurare emozione, e non diventare un ennesimo seme che passa sotto la macina dello straniamento con cui si passa da poesia in poesia, penso che tutto ciò che ruota intorno ad un testo debba essere un atto di verità se non si vuole denaturare il testo stesso che sulla verità dovrebbe poggiare il suo essere.

    lisa

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  47. Anche secondo me, la prefazione dovrebbe essere una conferma del valore dell'autore. Talvolta invece,come dice Mario, il nome noto prefà solo per amicizia (e spesso scrive due parole in croce, e povere).

    @ lisa: la prefazione la può chiedere l'editore o l'autore. in italia c'è il costume di farla gratuitamente. Qualcune dice che sia un malcostume. In ogni caso, pagarla o meno, non influisce sulla qualità della stessa.

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  48. io concordo con silvia monti, la prefazione dovrebbe essere un marchio di qualità.
    e talvolta i retropensieri sono tutti nostri, magari sotto non c'è niente. è possibile che sia così?
    tanto più che poi basterò aprire il libro per capire se c'è un lavoro dietro o una semplice raccomandazione...
    ...credo. e spero - per vari motivi.

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  49. @ Lisa
    dici" Quello che non so è dove nasce una prefazione, quale sia questo passaggio che segue la chiusura di un testo. La richiede l’autore? L’editore? il testo? Il lettore? a me manca la dinamica di questo passaggio, la sua sequenza temporale."

    Dipende: a volte è l'autore che interpella qualcuno che stima.

    A volte è un prefattore che crede così tanto in un autore da proporsi per la prefazione (o postfazione (magari dopo un grande lavoro assieme per trovare la giusta strada, rettificare errori, limare, fare editing)

    In alcuni casi, ad esempio, è stata la casa editrice a interpellarmi per scrivere su un autore (che non conoscevo e che ho quindi studiato)

    A volte ci sono libri che nascono senza, vedi l'ultimo di Massimo Gezzi (L'attimo dopo - Sossella)
    sia perchè non è necessaria, sia perchè l'autore forse non la desidera perchè il corpus poetico dice già tutto e li deve restare il lettore.

    Infine credo che per un autore inedito e che arriva alla prima pubblicazione, la prefazione (o postfazione) può essere una sorta di viatico/passaporto per accedere "al mondo" e come dice Silvia (je t'adore) avere una sorta di marchio di garanzia e suscitare quindi quella attenzione che magari non avrebbe se il libro fosse "nudo".

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  50. Sono più che d’accordo quando si dice che un’opera debba meritarla una prefazione (ed era un po’ il succo del mio primo commento), anzi aggiungo che debba meritare anche la pubblicazione. Che l’iter che conduce ad una prefazione si snodasse con varie metodologie l’avevo intuito ma non ne avevo certezza e ringrazio dunque sia Stefano che Fabiano per le loro risposte. Il punto che mi lascia perplessa però è l’uso della prefazione come “passepartout”, io in qualità di autore, in particolare se fossi esordiente, sarei presa da seri dubbi sulla reale bontà e maturità della mia opera, e mi tirerei indietro se mi fosse posta come condizione.
    E avrei una domanda per Fabiano: se un testo per cui ti viene richiesta una prefazione ti lascia del tutto indifferente, la scrivi o dici all’editore chiaro e tondo- per me questa roba non è un granché - e declini l’invito? A quel punto allora ti è mai capitato di vedere lo stesso testo prefato da altri e pubblicato ugualmente?
    L’esempio che tu mi porti di Ghezzi riguarda un autore che non è al suo debutto se non erro, e che è supportato in questo suo nuovo libro già da una casa editrice che, seppur piccola, con la sua collana di poesia sta puntando su scelte precise e di qualità, che possono essere più o meno condivise ma che forse forse possono rassicurare più di una prefazione che non sempre riesce ad evitare quella sensazione di stare andando in realtà ad appuntamento al buio.
    Per me in conclusione, e mi scuso per la lungaggine, il problema di prefazione sì o prefazione no non è il vero nocciolo della questione che risiede invece unicamente nella valenza che questa assume, se un testo merita è giusto che gli si faccia anche un monumento o se non altro ci si adoperi affinché possa reggersi da solo, anche se per/con affetto è inutile invece tirarne su con basi d’argilla.
    mi scuso ancora.

    grazie
    lisa

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  51. Avevo scritto qualcosa di più articolato...ma credo che sia andato perso. Ci tengo comunque a ringraziare sia Stefano che Fabiano per i chiarimenti.

    grazie
    lisa

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  52. cara Lisa, come vedi il tuo commento non è andato perso (era finito nelle spam, per ragioni misteriose anche per me).

    tornando alla tua questione: in teoria ogni libro dovrebbe meritare di essere letto. Un buon editore ragiona così. purtroppo, molti editori, per sopravvivere, pubblicano anche opere di media qualità.

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  53. a me le prefazioni stanno bene: dalla seconda edizione in poi. credo che ogni libro debba essere letto da tutti con le stesse difficoltà, gli stessi nodi, interrogativi, perplessità. ciò vale per la poesia come per il romanzo. dalla seconda edizione una praefatio significa che il libro aha avuto una certa fortuna e che pertanto merita di avere una valutazione critica, l'individuazione di alcune linee interpretative. da ogni prefazione dovrebbero essere eliminate le smancerie e possibilmente non dovrebbe essere compilata dall'amico quasi inevitabilmente sbrodoloso. certe prefazioni sembrano ritagliate su un altro testo che tu ti chiedi "dove cazzarola ha letto ste cose questo? boh!" e non sai se sei tu ad avere le traveggole o se i critici hanno un dio tutto loro. e questo non è bello in nessuno dei due casi.

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  54. @ Lisa:
    "Fabiano: se un testo per cui ti viene richiesta una prefazione ti lascia del tutto indifferente, la scrivi o dici all’editore chiaro e tondo- per me questa roba non è un granché - e declini l’invito? A quel punto allora ti è mai capitato di vedere lo stesso testo prefato da altri e pubblicato ugualmente?"
    Per ora no, non mi è mai capitato. Devo ammettere che magari qualche libro mi ha convinto meno, ma
    comunque ne meritava una lettura anche per la costruzione oltre che per il corpo poetico. Ma credo -per ora- di essere stato fortunato o attento ad accettare solo cose delle quali sapevo le fondamenta.


    C'è però un bel passaggio, Lisa, nel tuo intervento successivo e che vorrei proprio portare a galla. Quando scrivi: "certe prefazioni sembrano ritagliate su un altro testo (...)"
    Quelle mi sono capitate in mano, prefazioni che potrebbero andare bene per 20 autori diversi e non aggiungere o togliere nulla. Io personalmente le chiamo "carta carbone".
    Molto personalmente però ti dico che quando lavoro ad una prefazione -ed ora ho anche asciugato il linguaggio- sono molte le opere che metto in parallelo nel discorso che seguo per entrare nel corpo poetico dell'autore di cui scrivo.
    Quando scrissi la prefazione all'autrice svizzera Sabina Naef (vertigine lieve, Kolibris) ho lavorato convocando una serie di testi, oltre a quelli dell'autrice che poco avevano a che fare con la poesia. Qualche titolo per darti un idea: Freud, l'interpretazione dei sogni; Adler (La psicologia individuale); Piaget (La formazione del simbolo nel bambino); Ricci, Bitti, Zani (La comunicazione come processo sociale); Adler (cos' è la Psicologia Individuale).

    Per scrivere la prefazione di Antonio Bassano (L'imperfezione dei cardini - Le Voci della Luna) oltre ad avere lavorato pr mesi e mesi con l'autore (posso quasi dire che l'ho scoperto...)le fonti involontarie sono state anche: - Plessner Helmut, Antropologia dei sensi, Cortina Raffaello, Milano, 2008
    - Gehlen Arnold, L’Uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, Feltrinelli, Milano 1983
    - De Fanis Maria, Geografie Letterarie, Meltemi,Roma, 2001
    - Deleuze Gilles, Francisc Bacon. Logica della sensazione, Quodlibet, Macerata, 1995
    - Davis Mike, Geografia dell’espressione, Mimesis, Sesto San Giovanni, 1997
    - Augè Marc, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Eleuthera, Milano, 2009
    - Pusterla Fabio, Il Nervo di Arnold, Marcos y Marcos, Milano, 2007
    Tutte fonti che sono libri che ho letto e che comunque creano un bagaglio che nonostante me, ritornano perché aderenti al discorso in corso (scusa il gioco)


    Ad esempio, per la prefazione al poeta scozzese Tom Leonard (ancora Kolibris edizioni), ho preso 1 settimana per andare a leggere ogni recensione, commento, notizia disponibile in rete ed ogni intervento fatto dall'autore (interviste). Poi mi sono anche letto tutti i testi che ho reperito (spesso con difficoltà, perchè o non si trovavavno o erano scritti in un inglese davvero complesso). Credo che parte di quelle ricerche comunque siano poi in qualche modo apparse nel mio scritto, specie la voce stessa dell'autore intesa come pensiero di fondo, la linea ch'egli segue per scrivere.

    Non è però un copiare, attenzione, quanto lavorare di ricerca e nel rispetto del testo da prefarre.

    Fabiano

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  55. (...proseguo)

    sono pertanto contro le prefazioni "carta carbone" e melense (leggiamo la posta di Carifi, su Poesia, per renderci conto quello che intendo - spesso ne appaiono stralci esilaranti)
    spesso scritte solo per leccare l'ego del poeta.
    Quelle sono un danno, ma lo è anche la pubblicazione dei quelle poesie.

    Però ci va un bel distinguo: opere che meritano di essere lette contro l'elogio del tinello.

    Fabiano.

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  56. condivido quanto dice Fabiano (magari con una compresnione amggiorea alla posta di Carifi, che comunque ha dato molto ai neofiti).

    interessante l'idea di Lisa: scrivere le prefazioni alle seconde edizioni, per certificarne il valore. tuttavia, se diamo ascolto a questo proposito, perdiamo il lavoro di ricerca fatto dal prefatore. Lavoro che diventa chiave interpretativa utile a molti.

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