martedì 27 luglio 2010

Marina Pizzi



In attesa di leggere Il solicello del basto (Fermenti, 2010), prendo in considerazione l'inedito Vigilia di sorpasso, scritto da Marina Pizzi negli ultimi due anni e composto da 121 brani vagamente endecasillabi, che hanno per tema il morire d'ogni cosa (uomini, animali, vegetali, minerali), secondo il modello del male di vivere montaliano (ma vissuto anche nella propria carne), in un brulichio di immagini e figure in cui lo stesso mettere in scena il dolore diventa parte del quadro metafisico, con lieve riscatto per i vivi, comunque presi nella morsa del caos del mondo e di quello interiore. Qui c'è qualcuno che esce dalla comunità, morendo, e qualcun altro che vi rientra, dopo un soggiorno carcerario. Ma non sono i protagonisti del racconto, nessun eroismo postromantico:è infatti l'ordinario così come si esplica nel vivere comune il vero oggetto della poesia di Marina Pizzi, raccontato però attraverso un vedere straordinario, capace di trovare i legami segreti fra le cose, a partire dal un delirio del soggetto che racconta che con procedura analogica. E' la via maestra del Novecento, come ben si sa, che nella poetessa romana segue la via del suono, attraverso rime (o finterime), spesso interne ipermetre (poesia 2.:"occaso / ciocca" e "ciocche / sciocchezze"), sillabe omofone o paronomasiche, che vanno a costituire, alla fine, l'elemento coesivo del testo, l'intreccio riconoscibile di una realtà altrimenti deflagrata in frammenti inabitabili. L'immagine è dunque sinestetica, andrebbe ascoltata più che vista, costruita attingendo dall'inconscio anziché dal catalogo delle cose note, facendo tesoro del surrealismo macabro piuttosto che dalla mimesis naturalistica. Tale complessità (per alcuni irritante), che tiene il lettore fuorigioco, è rotta da improvvisi squarci epigrammatici, luminosi ("nulla si adempie per tenerezza" e "l’orto botanico non riusciva proprio a consolare nessuno"), che portano chi legge dentro una distensione, un'ansa quieta, laddove prima gli sembrava di scendere lungo un rivo di montagna, con le strozze che impediscono di comprendere la destinazione. Il fatto è che il sorpasso dell'ora non porta in nessun eden (ciò che si trova "è solo un vuoto che rattoppa / un altro vuoto"), per cui meglio documentare la stratificazione del presente, la sua luce piena di inquietudini. Non sorprende che questa poetica – la quale, facendo tesoro delle avanguardie, senza tuttavia sprecarsi nel grottesco o nel gioco, ricava dal quotidiano la musica dissonante del dolore, la sua onda cupa e luminosa insieme, invisibile al primo sguardo e insopportabile alla prima lettura – non sorprende, dicevo, che l'autrice non trovi spazio nelle collane principali della poesia italiana e pochissimo, anche, nella critica militante, malgrado il curriculum di tutto rispetto (sulla sua poesia hanno scritto, fra gli altri, Pier Vincenzo Mengaldo, Luca Canali e Giuliano Gramigna), che forse, nel passato, ha talvolta portato sino al parossismo le acrobazie fonetiche, mascherando, senza volerlo, la maglia tragica del suo dire. Mi piace, invece, l'equilibrio raggiunto in Vigilia di sorpasso, anzi auspico un'ulteriore esplicitazione dei nessi analogici, una messa in chiaro che non sveli l'enigma, ma lo renda un poco più familiare, come insegna Baudelaire.



Vigilia di sorpasso
2009-2010



1.

ultimo cuore contare i morti
le giacche appese degli operai
esclusi dalle spade degli angeli.
in preda alle reclusioni delle gemme
fiacca il mattino in un rondinino
morto. le vedove mendaci della tara
dileggiano sul peso di morire. nessuna
giara ti darà più l’olio per rendere
felici i manicaretti da porre sulle tombe.
in faccia al muro elettrico del sale
venga l’attrice che finga di morire
così per verdetto di ristoro.


2.

la neve sporca si fa d’occaso
una spendacciona ciocca di fratello
per rendere la vita un poco sazia
nonostante il criterio dello spettacolo
morente.
tu mi sei amico per alamari e ciocche
quelle sciocchezze innocue che fan fratello
il morente ingenuo fatto della vita.
questo scompiglio d’epica la sorte
chiama la resina dell’eclisse
illuminato bavero partigiano.
così domenica incontrerò nell’inguine
la giara dell’alunno conservato
stante il criterio della luna piena.


3.

in penitenza sulla riva dell’ultimo
ruscelletto non ingoiato del caos.
è perno ancora il musico ribelle
padre di sé per un ricciolo di mora.
in penitenza sulla costa del furto
s’impari il panorama di chi perde
al gioco o al simbolo di credere
seppure evanescente il tuo bel viso.
in mano alla cipolla che fa piangere
il gerundio dell’escluso il sorso breve
contro un’arsura somma. e invece piange
il padre della sposa astemio sulla cenere
del volatile. in tanto mare spadroneggia
l’orco del cimelio di voltarsi indietro
indietro senza tramutarsi anzi invecchiando
con la stazza ossea.


4.

nel ghiaccio cocciuto ho visto la costanza
della stanza del vedovo. tutto come prima
anche se l’uovo non viene più cucinato bene.
la maretta del dolore è solo un remo in meno.
qui i cadavere accatastati si immaginano.
la gavetta del sonno marcio
fa malati i superstiti.
in gola le miriadi degli scempi
prosperano le girandole di fango.
le mie fiaccole sono il tornaconto del fato.
nulla si adempie per tenerezza.
l’angelo elementare gioca al ciclope
dimentica la protezione di essere chiamato.
in mano a una rondine parlante
la cimasa si fa castello ampio per entrambi.


5.

si gira il passo per cambiare vita
ma è solo un vuoto che rattoppa
un altro vuoto, bisbiglio disperato
sotto la cimasa del ciglio che piange.
in casa un almanacco rende pigro
perfino il monaco delle messe
la rivoltella pronta contro il sudario.
bello poter trovare un libro ad uso
di onestà elettrica. la noia respinta
dal giro della carica di ridere
la filastrocca e il cosmo come fazzoletti.
qui si accatta la nenia del verdetto
l’ultima catastrofe appesa alla soffitta.


6.

in coda alla partecipazione del divieto
la galera ronfava presa dall’attesa.
l’orto botanico non riusciva proprio a consolare nessuno.
il muro alto della prigione concludeva la giornata.
le monetine lanciate sul presepe non invalidavano niente.
si restava cretini come l’eremita sacrestano.
le stimmate erano di un pendolare ultradolorante.
in mano al calendario non accadeva che la cancellazione
il diverbio di cercare il giorno da biffare.
dette da un miliardario le parole buone fanno ridere
lasciano sgomento il patrimonio ben serrato.
il tema dell’addio è solo un motto che non arriva
mai al momento giusto. stare in attesa di te è solo
un bavero slavato dal sudore della nuca.
ora mi chiedo la ruggine e il complotto
dove andranno a divulgarsi. volta addolorata la tempia
dell’ultimo della classe un po’ sordo.


7.

donna d’amore dar di remo il mondo
conoscerlo sotto il peso della ruggine.
gioielli lacrimosi questi laghetti
sparpagliati nel giro delle fosse.
unguenti lacrimevoli caviglie
questo spostarsi in acqua per guardare
se finalmente terra è la memoria.
in mano alla raucedine del disco
sto col condono al collo per poter vivere
da finanziere finalmente. nulla si inventa
in questo acuto fato uncinato nel brevetto.
tu domani uscirai di galera
per sistemare le violette di stagione
lungo l’argine del palato aperto
del neonato in petalo. in coda una nenia
paesana spartirà la lezione della calma.


8.

un rullio di rantoli il muretto
dove staziona il rotolo dell’ombra
il cruciverba di badare il baro
che vento insegue chi maestro sia
dell’abaco scortese che giammai perdona.
in mano alla regia della penombra
balbetta lepre il presagio d’ascia
la barca che traballa presaga alla balìa.
tu lasciami un lustrino di favola alla nuca
dove marea si consuma il breve
festino della rema stretta.


9.

la linea di fuga sta sottosopra
nel cammino minore delle serpi
in fuga la forza del sogno
il miramare che recita a teatro.
così nella resina di funi
imballo chi sono per un container
senza pietà nerastro di fumi.
tra pericoli corsari e robivecchi
ho la cresima del crudo senza pace
la crepa del sisma che si avvera.


10.

adatta la saggezza in un’onda brada:
qualunque germoglio avrà la forza
di ungersi all’unguento del primordio.



Marina Pizzi è nata nel 1955, a Roma, dove vive.
Ha pubblicato i libri di versi: IL GIORNALE DELL'ESULE (Milano, Crocetti, 1986), GLI ANGIOLI PATRIOTI (Milano, Crocetti, 1988), ACQUERUGIOLE (Milano, Crocetti, 1990), "DARSENE IL RESPIRO” (Milano, Fondazione Corrente, 1993), LA DEVOZIONE DI STARE (Verona, Anterem, 1994), LE ARSURE (Faloppio, CO, Lieto Colle, 2004), L'ACCIUGA DELLA SERA I FUOCHI DELLA TARA (Lecce, Luca Pensa, 2006), DALLO STESSO ALTROVE (Roma, La camera verde, 2008), L’INCHINO DEL PREDONE (Piacenza, Blu di Prussia, 2009), IL SOLICELLO DEL BASTO (Fermenti, 2010). E le plaquettes "L'impresario reo" (Tam Tam 1985); "Un cartone per la notte" (edizione fuori commercio a cura di Fabrizio Mugnaini, 1998); "Le giostre del delta" (foglio fuori commercio a cura di Elio Grasso nella collezione “Sagittario” 2004).
Numerosi e-book e collaborazioni si possono leggere on line.

Sul web cura i seguenti blog di poesia:
Sconforti di consorte
Brindisi e cipressi
Sorprese del pane nero

12 commenti:

  1. Trovo che vi sia un equilibrio perfetto tra suono, ritmo e potenza evocativa di immagini inusuali ma riconoscibili. Non posso esprimermi oltre poiché non conosco questa poetessa, ma aprofondirò.

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  2. UN CUORE DAL CALORE OBLIQUO?
    di V.S.Gaudio

    (...)Ora, su questo ponte da cui scorgiamo l’assenza dell’oggetto e la ripetizione di Jakobson per le questioni di poetica, l’Aspetto e la Prospettiva di Stobitzer, il possibile incontro con le Strutture Mistiche di Durand,, e da cui l’eroe contempla la Spaltung tra Dasein e oggetto, non so se, per questa mamma che chiama il poeta, dobbiamo guardare il seno buono e il seno cattivo di Melanie Klein masticando Unlust per il Lust perduto; o se, essendo l’ oggetto "a" , come dice Lacan, identico allo sguardo, cercare nella circolarità della Biografia(del poeta) la distanza che c’è tra il Lust e l’ oggetto "a",e, se avendo alluso alle Strutture Mistiche, e avendo intravisto, perciò, connettendo le Tavole di Durand con la Tassonomia di Suvin(il critico sta sul ponte, guarda in là mentre il lettore guarda in giù), la possibilità di prospettare una poetica del Surrealismo sensoriale per quell’eccitazione della grammatica che “gli agguati dell’effimero” attuano, guardare, con Gino Baratta, “alla pretesa dell’io di avere un suo spazio nell’(in)finito, tanto più che questo io ha un cuore dal calore obliquo, e parla una lingua d’autunno”.

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  3. @ Gaudio: forse contestualizzare e rendere il messaggio più comprensibile non sarebbe stato più itile?

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  4. @gugl
    d'accordo. Mi scusi se ho osato mettere un testo, un estratto, a paradigma largo per una poesia che,di suo, il paradigma lo ha già abbastanza largo.Ma la poesia, e la critica, sul web subiscono queste decontestualizzazioni.
    Vedrò di astenermi in futuro; non vorrei sconnettere le maglie del suo blog.
    E mi scusi pure la poetessa,se mi sono permesso un po' di critica alta, vedrò di commentare poeti altrimenti contestualizzati.
    V.S.Gaudio

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  5. vogliamo che la poesia stia vicino agli uomini o la preferiamo nelle bacheche universitarie, sotto spirito?

    La sua, mi scusi, ma mi sembra la condensazione di tutto il praticabile possibile dentro il paradigma "crisi del soggetto", con grande goduria citazionista e poco rispetto per gli ignorantoni come noi.

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  6. Le ho chiesto scusa.
    Mi perdoni, non riesco a capire:
    ho apposto un commento, estratto da un mio saggio critico, che, a quanto pare,non serve a niente.
    Non lo farò più.
    Davvero, mi rincresce, l'avrò apposto di notte, ho sbagliato.
    Mi scusi, per averle creato questo scompenso, ho visto la Pizzi e... che dire?sono andato nel pallone?Sono impazzito?
    Non intendevo offenderla, e nemmeno la poesia.
    v.s.gaudio

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  7. nessuna offesa. solo rilevavo quanto sia difficile il suo linguaggio. ma davvero la poesia ha bisogno di questo armamentario?

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  8. A proposito di poesia sotto spirito,questa di questa poetessa mi sembra difficilissima:allora evviva Nilla Pizzi,non le pare signor gugl?
    Giovanni Attardi

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  9. Questo è stato un bel articolo da leggere, grazie per la condivisione di essa.

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  10. Wow! Grazie! Ho sempre voluto scrivere nel mio sito qualcosa di simile. Posso prendere parte del tuo post sul mio blog?

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  11. Grazie per questo post meraviglioso. Ammirando il tempo e l'impegno che mettete nel vostro blog e dettagliate informazioni vi offrono.

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