giovedì 15 luglio 2010

La prospettiva di un editore: Fabrizio Dall'Aglio


Caro Giorgio,


ti ringrazio per le mail che mi arrivano e che leggo sempre con interesse. Ho ordinato il tuo libro sulla poesia modernista, e sto aspettando che mi arrivi. In genere, non mi piace prendere parte a queste diatribe che mi paiono sempre un po' manichee e spesso frutto di frustrazioni personali (che rispetto, ma sulle quali mi pare inutile discutere). Inoltre, non avendo ancora letto il tuo libro, mi parrebbe sciocco disquisirne, anche se lateralmente. Ho molta e sincera stima per Gezim Hajdari; capisco quanto scrive al riguardo, temo però che lui e altri non si rendano ben conto di cosa significhi pubblicare poesia contemporanea. E non solo in Italia, la situazione non è molto migliore in Francia, o in Spagna, o altrove. Del resto, basterebbe che i poeti provassero a separare nelle loro biblioteche i libri dei loro colleghi che hanno comprato da quelli che hanno ricevuto invece in omaggio e si accorgerebbero, credo, che sono ben pochi i libri di poesia italiana contemporanea da loro effettivamente acquistati in questi anni. La mia opinione, per diversi motivi, è che hanno fatto bene. Un editore cerca di vendere un po' di tutto, naturalmente. Ma non è difficile capire che un romanzo, anche molto modesto, può trovare un buon numero di lettori anche solo in virtù, per esempio, del suo soggetto; in un mondo in cui l'attualità ha invaso il senso del contemporaneo, sempre che lo stesso contemporaneo abbia davvero un senso diverso da quello letterale puro e semplice, un soggetto d'attualità reso alla meno peggio possibile ha già un forte motivo di interesse. Per la poesia non è così, naturalmente, e mi fanno ridere quei poeti che per decantare le possibilità commerciali delle loro opere mi spiegano che uscirebbero nel momento giusto, in quanto si parla di questo o di quello. Di solito questi poeti si definiscono "emergenti", il che è tutto dire. E comunque, tanto per reimmergerci, se la poesia contemporanea affida alla propria qualità intrinseca le sue pur poche possibilità di ricezione e dunque, almeno in parte, di "mercato", non possiamo neppure nasconderci che non viviamo in un'epoca di grandi poeti e di grande poesia. Questo si riflette anche nelle cosiddette scelte editoriali: se per i romanzi il fatto che alcuni appaiano più commerciabili di altri costituisce comunque, piaccia o meno, un criterio di valutazione editoriale (si pensi al proliferare di gialli, noir, mistery ecc., perché l'altra faccia dell'attualità è la cronaca più o meno nera), per la poesia pare non esistere alcun criterio. Il che, a ben vedere, è probabilmente peggio. L'editore sa che non può contare commercialmente su quei titoli e dunque se ne disinteressa, se continua a farne è perché trova una compensazione (anche commerciale) diversa, magari chiedendo al poeta l'acquisto di un certo numero di copie. Può apparire brutto; ma come spiegare che mediamente di un libro di poesia italiana contemporanea su tutto il territorio nazionale, e pur avvalendosi di ottimi promotori e distributori, escono meno e spesso molto meno di 300 copie? L'editore, pubblicando un libro del genere, sa già che su quel libro non solo non guadagnerà ma perderà dei soldi. Chi glielo fa fare? Non dimentichiamoci che una casa editrice è un'impresa commerciale, ogni anno deve cercare di fare quadrare i propri conti. Non è che arrivino le sovvenzioni dello Stato.

Io non faccio l'avvocato d'ufficio degli editori, anzi, pur lavorando da tempo in questo ambito quella degli editori non è una categoria che mi interessa e neppure mi affascina; però quando si vuole criticarli, sarebbe bene sapere un po' meglio di cosa si sta parlando.

Un caro saluto,

Fabrizio Dall’Aglio





***



Caro Giorgio,

nel mio piccolo credo di averti risposto, in quanto consulente editoriale della Passigli. Riguardo alla moratoria editoriale per i libri di poesia italiana contemporanea che propone Luigi Manzi, francamente credo che molte case editrici (fra le quali la Passigli) aderirebbero molto volentieri. Io credo che ci si dimentichi che tutte le attività imprenditoriali sono dominate da logiche di mercato, e che il mercato significa “offerta” e “domanda”: ora, chiederei ai poeti che si lamentano delle case editrici italiane: pensate davvero che esista una “domanda” per i vostri/nostri libri? A fronte, questo sì, di un’ “offerta” talmente inflazionata che non si capisce davvero quale destinazione possa mai avere. E’ inutile nascondersi dietro un dito: l’editoria non sa che farsene della poesia italiana contemporanea, dal momento che lo stesso pubblico della poesia (almeno se ci si riferisce a numeri che possono interessare gli editori – in quanto imprenditori, ripeto) non sa che farsene. Se invece spostiamo l’attenzione, come fai tu, sulle scelte editoriali, sulla loro “impurità” o incomprensibilità, credo che valga il discorso che ti facevo nella mia mail precedente (che, naturalmente, se vuoi pubblicare come hai fatto per altre a me va benissimo). Ripeto dunque che quando non esiste un vero interesse editoriale per la poesia italiana contemporanea, è facile allora che le scelte siano all’insegna della pigrizia (soliti nomi noti, o comunque un po’ più conosciuti degli sconosciuti), delle amicizie, delle seccature in genere che il non pubblicare potrebbe caso mai comportare. Nessuna collana di poesie che io conosca mi pare esente da questi rischi; chi, come me, lavora comunque nell’editoria, si accontenta che non tutti i libri, ma che qualche libro, il più possibile, di tanto in tanto, possa dargli motivo di soddisfazione (e questo, intendiamoci, non vale soltanto per la poesia). Per molti anni è stato Mario Luzi a scegliere i poeti italiani per la nostra collana. Certamente Luzi era un grande poeta e una persona di grande levatura morale e intellettuale; ma neppure le sue scelte hanno potuto sempre evitare quanto dicevo prima; alcune erano convinte, altre lo erano molto di meno e altre con ogni probabilità non lo erano affatto. Anche quando si rimpiangono i grandi consulenti di una volta, sarebbe del tutto ingenuo pensare che per loro le cose andassero in modo molto diverso. Ci sono stati poeti, anche in passato, inspiegabilmente (almeno per noi oggi) baciati dalla fortuna editoriale.

Non sto facendo un discorso morale. Da questo punto di vista, sono completamente d’accordo con Roberto Bertoldo. Conosco poeti che mi fanno spesso discorsi di quel tipo, sulle consorterie varie, 'do ut des' ecc., e che poi mi propongono favori in cambio di favori, che nel mio caso è ovviamente che io li faccia pubblicare con Passigli. La cosa non mi scandalizza, perché non esiste un mondo dei poeti separato dal mondo comune, e se sono arrivato ormai a 55 anni ho fatto in tempo a imparare come funziona e come non funziona il mondo. Quello che semmai mi scandalizza è che questi stessi poeti mi facciano poi discorsi morali sulla poesia.

Ma voglio farti un esempio: se un editore di poesia dovesse scegliere fra una nuova raccolta poetica di (tanto per fare un esempio in linea con la tua ultima lettera, non ho proprio nulla contro di lui e anzi mi è simpatico) Franco Buffoni e un’altra di Cosimo Turani (il nome è inventato), credi che esiterebbe nella scelta anche se al suo gusto le poesie di quest’ultimo sembrassero molto superiori? No, non esiterebbe, credimi, perché giustamente (dal suo punto di vista) sceglierebbe l’opera che gli garantisce maggiore attenzione da parte dei librai, di possibili recensori e di possibili lettori (o meglio acquirenti di libri: non è che chi compra un libro si trasformi in lettore con un colpo di bacchetta magica, deve prima leggerlo davvero e solo dopo, magari, si accorgerà che non ne valeva la pena). E questo è sempre accaduto, non è una novità del nostro deterioramento generale. Che pure è evidente.

Insomma, alla fine mi sembra che succeda come per i premi letterari: gli unici degni di rispetto sono quelli che vinciamo noi, gli altri sono viziati e corrotti…


Un caro saluto,

Fabrizio Dall’Aglio



Nato a Reggio Emilia il 30 novembre 1955. È titolare di Mavida (stamperia d’arte, casa editrice e galleria specializzata in stampe originali moderne e contemporanee, nonché di opere di narrativa) di Reggio Emilia ed è condirettore editoriale della Passigli Editori di Firenze.

14 commenti:

  1. Giorgio dice che la poesia italiana è alla frutta o quasi, io sostengo invece che alcuni bei titoli all'anno si leggono ancora e Franco rileva a sua volta che, mica si legge tutto e se per fortuna sfugge il peggio, per sfortuna sfugge anche il meglio. Insomma, un bel pantano. Peraltro Franco mi propone una soluzione che sfugge a ogni logica pratica: come si fa a dire "non pubblichiamo più a pagamento" (chi? e con quale diritto glielo impediamo? mi sembra fragile come idea). E poi: per pubblicare un libro a rischio dell'editore, proviamo a fare due conti in croce: pochissimi editori lo possono fare in Italia, e alludo ai "grandi", e sappiamo come si comportano. Mi sembra un bel passo indietro rispetto ad adesso. Piuttosto: stabiliamo che il rischio, almeno quello, è dell'editore. Questo sì. E' immorale, come editore, accollare sul groppone dell'autore anche il proprio guadagno: in questo modo tu editore non hai più nessun motivo di vendere, perché hai già fatto ilm tuo guadagno. La maggioranza delle case editrici piccole, non hanno un rudimento di strategia di mercato, spesso neppure la possono impostare, proprio a causa della debolezza finanziaria ed economica, e forse anche per mancanza di idee ed iniziativa. Ecco perché i libri finiscono al macero: perché non hanno un'adeguata pubblicizzazione, perché nessuno lavora intorno alla loro fortuna editoriale e letteraria. Nei bei libri ci si imbatte quasi sempre per caso, ma non è possibile andare avanti così. All'autore non importa se deve spendere "x" per stampare, SE sa di recuperarli comunque (SE) il suo lavoro merita (se non merita... non si pone il problema: ci pensi prima).
    Però, tornando al discorso di ieri, ci ho riflettuto un po'. A un meccanismo di critica, pur rudimentale, che venga dal basso, intendo.
    Voglio allora fare una proposta, a mio avviso praticabile nella teoria ma so già che non lo sarà nella pratica, perché al di là dei sacri furori, poi ognuno ha i suoi scheletri negli armadi e una proposta “trasparente”... beh, io credo che faccia paura a tutti per motivi diversi: autori, critici, editori e persino lettori. Lo dico con disincanto sperando di sbagliarmi, e anche con grande comprensione per le nostre debolezze: siamo fatti così...Lecteur, mon semblable, mon frère diceva uno che cantava i fiori del male.

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  2. Si tratta di una proposta di autoregolamentazione, rudimentale e per forza di cose parziale, ma almeno in grado di fornire indicazioni credibili (non certo soluzioni esatte - impossibili) e rompere davvero le palle alle cosche della poesia.

    a) Gli editori, i critici e gli autori, i lettori che ci stanno, acquistano uno spazio web comune (e già qui ti voglio vedere), versando 10 € all’anno, gestito in comune.

    b) ognuno di loro acquisisce una sigla. Ad esempio: l’autore Gianmario Lucini, A001, il critico Franco Romanò C001, il lettore Giorgio Linguaglossa L001, ecc.

    c) Gli editori mandano una copia PDF delle opere edite alla gestione del sito, che si preoccupa di distribuirle a tutti gli aderenti all’iniziativa, senza il nome dell’autore e della casa editrice. Si può ragionare se completo o no di tutte le poesie di un volume (ed è un bel problema)

    d) E’ rigorosamente segreto (con sanzioni feroci) l’identità degli aderenti in abbinamento con la sigla Il che non garantisce comunque che uno di essi si palesi come consegnatario di una certa sigla, nel qual caso viene buttato fuori dall’iniziativa, i suoi giudizi segnalati come inautentici e debitamente sputtannato.Nessuna preclusione invece (e anzi, è bene farlo), dichiararsi aderenti al progetto (ma senza dichiarare la propria sigla).

    e) Ognuno invia per ogni PDF, le sue considerazioni, che vengono esposte. E su queste considerazioni si costruisce un set di domande (non oltre 10) e si chiede il giudizio sintetico (una frase). Molti libri non saranno ovviamente letti e ci sarà una casistica per capire il motivo della non-lettura. Chi critica, dovrà inoltre specificare se conosce il nome dell’autore avendo ricevuto in omaggio o acquistato il libro

    In questo modo:

    a) Nessuno sa chi scrive e chi legge: l’attenzione è centrata sul testo e basta. Si eliminano dalla scena una serie di variabili parassite, compreso la paura di scontrarsi con qualcuno, la paura di crearsi dei nemici, il desiderio di procurarsi amici, favori e consorterie...

    b) Diventa molto difficile costruire cordate

    c) Si garantisce alle opere inviate una visibilità uguale per tutti

    d) Si garantisce un numero maggiore di feed-back autentici (per quanto possibile) all’autore

    e) Si diffonde davvero l’opera ai diretti interessati e indirettamente la si propone a livello più ampio.

    f) si rompe le palle alle cosche poetiche, perché ci si dota di uno strumento di credibilità di cui esse non dispongono

    E non mi si venga a dire che facendo girare PDF in questo gruppo compromettiamo la vendita: se un libro di poesie in Italia vende 100 (cento) copie, ormai è un best-seller – e quelle 100 copie ovviamente non le acquistano persone del genere suindicato.

    Ecco la mia proposta dal basso. Non mi sembra complessa, ma è praticabile soltanto con la “volontà politica” di farlo. Ed è per questo che non si può fare.

    Consideratelo un paradosso estivo. O un giochino utopistico.

    Salutissimi a tutti

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  3. Interessante davvero la lettera di Fabrizio dall'Aglio, vedo che il discorso si allarga, bene, potrebbe essere un segnale interessante per valutare la tristezza infinita che regna nelle redazioni di editori che del resto poesia pubblicano, magari quella fuori diritti come pessoa, senza preoccuparsi di quanti libri di Pessoa, magari meglio tradotti, ci siano in giro... il discorso non regge, per nulla.
    La Mondadori mandò in stampa i «miti poesia», che vendettero circa 1 milione di copie, sia per il formato sia per il prezzo.
    Montale vendeva 2000 copie, normale che i poeti "minori" ne vendano 300, il problema è che, pubblicando per amicizia e per marchette, i lettori non comprano questi libri nati male, deformi anche nella qualità della poesia, tutto qui. Se si pubblicano le poesie di Gemma Bracco o di Michela Miti, (Mondadori), non vedo perché non si possa, se si fosse onesti, pubblicare anche 300 copie di un esordiente sconosciuto, ma la cui poesia deflagra. o no?
    Temo che questi signori, di fronte ad un esordiente Rimbaud, avrebbero affermato essere solo un ribelle scalcinato e immaturo.... mah
    saluti
    Gilberto Gavioli

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  4. Sto seguendo con animo sempre più ansioso ma profondamente interessato questi interventi pubblicati negli ultimi gg su Blanc. L'ansia si spiega con il fatto che l'idea di pubblicare mi si è affacciata alla mente da pochissimo, e tuttavia sta facendo marcia indietro con quello che leggo.
    Quadro tratteggiato, in generale:
    1. parrocchiette in autoscontro che impediscono la qualità poetica, tengono basso il target insomma
    2. poesia scadente negli ultimi quarant'anni o giù di lì, niente a confronto dei giganti dell'immediato prima e dopoguerra
    3. pochi geni misconosciuti, mancanza di lavoro sulla forma e sulla lingua
    4.quelli pubblicati senza aver pagato sono sospettati di essere raccomandati, quelli che pagano, al contra rio, di non avere la qualità artistica "vera"
    5. le case editrici ragionano solo a scopi imprenditoriali, esclusivamente a scopi imprenditoriali, quindi anche la poesia si accetta o si respinge in base a questo canone
    6. gli Italiani sono un popolo di sprezzatori della poesia, quindi cento copie vendute sono già un miracolo (e meno male che Gavioli fa notare che se c'è qualità, la gente si interessa eccome alla poesia)
    7. i concorsi sono truccati, così come le recensioni, i saggi e tutto; infatti leggo una proposta di condivisione anonima nel web.

    Dio mio, ma se è così davvero, allora facciamo una guerra perché siamo al lumicino della dignità culturale, altro che antologie, quelle non bastano più.
    Fiorella

    P. S. Ma perché anche nelle antologie più "moderniste" continuano a incastonare/incasellare/inchiodare le autrici in "a parte" e non le si inserisce all'interno del flusso unico?

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  5. cara Fiorella, sottoscrivo i punti 5 e 6. mezzo appoggio all'1 e al 7.
    Per il resto, io credo che oggi ci siano poeti di valore quanto i decenni passati.

    chiara la domnanda che poni sullo spazio alle donne.
    Qui su Blanc si guarda alla qualità. punto.

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  6. Sì, infatti non mi riferivo a Blanc, anche questo si evince, ma a tutte le antologie in circolazione, a partire da quelle scolastiche fino a quelle più "critiche" e recenti.
    Grazie di avermi risposto. 5 e 6 li confermi? E allora mi rassegno, è proprio un déluge, come dice De Palchi altrove :-(

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  7. siamo appunto nella bufera, come direbbe -parafrasandola - madame de Pompadour. bisogna tenere la rotta a braccio e additarla agli altri, quando si può.

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  8. Sottoscrivo Gavioli dalla A alla Z. Il resto sono "ciàcoe"... quando le maggiori collane di poesia - le poche rimaste - continuano, salvo le eccezioni dovute (De Angelis, Loi, Mario Benedetti, Pusterla, ecc...) a pubblicare dinosauri spompati o polipi della politica come si può pensare che il pubblico rimanga loro fedele, magari acquistando i libri di poesia? Ora, in Italia, la poesia migliore esce nelle collane che non hanno circuito, ma grazie al web il lettore se n'è accorto, ha capito che i grandi gli stanno "fottendo" tempo e denaro. Ma anche la critica - quando c'è, quando non è serva dei gruppi editoriali - ha le sue colpe, e chi è senza peccato...

    Fabio Franzin

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  9. La considerazione sul ruolo della critica, sia quella fatta dai lettori professionali che quella fatta dai lettori attivi (poeti e/o operatori culturali con un proprio pregiudizio) mi pare il punto rilevante.


    Il "basso livello" deriva da varie commisitioni:

    - il libro di poesia viene inserito in un un discorso piu' esteso, politico o sociologico, a fini di rivendicazione identitaria o di gruppo;

    - il lettore non e' in grado di comprendere l'originalita' di un lavoro artistico e si accoda a criteri pedagogici piu' o meno condivisi;

    - non esiste un unico approccio teorico e applicativo che faccia raggiungere una convergenza estesa di opinioni; si creano invece un effetto cascata, di riporto, o uno strano suono di coro localizzato.

    I tre punti si possono sommariamente approfondire.

    Il primo dipende in gran parte dalla funzione che si assegna alla poesia -e piu' largamente al lavoro culturale- in questi tempi d'Italia e in Occidente. Circostanze storiche (e di storia della letteratura) ben precise permettono di individuare le varie "correnti" nate in accademia o nelle grandi case editrici, quando ancora entrambe avevano un ruolo forte. Circostanze politiche hanno spinto la poesia nel dominio dell'etica, di baluardo di resistenza o di apologia dello status quo. Essendo il web essenzialmente un mezzo "povero e aperto", si trova soprattutto la circostanza del primo tipo.

    Il secondo aspetto e' non meno importante. Conoscere e riconoscere l'originalita' artistica, farne esperienza diretta o indiretta, dovrebbe costituire il primo requisito di chi fa critica pubblica. L'originalita' artistica ha una sua storia di metodo e di prassi e si avvicina oggi sempre piu' all'originalita' scientifica, fino a confondere il libro con una tesi di dottorato. Mi sembra equo sostenere dopo quindici anni di partecipazione ai lavori che la massima parte dei lettori professionali/attivi non ha grande esperienza con l'originalita' creativa, ne' artistica ne' scientifica.

    Da primo e secondo punto scaturisce il terzo, cioe' il crearsi inatteso -e forse inattendibile- di piccoli fenomeni legati piu' alla contingenza del messaggio (politico, di genere, sociale, etico) che alla valenza artistica dell'opera in se'. I modi per ovviare sono tanti e variamente proposti, ma si tratta di un "incerto", di un "ambiguo", connaturato al fenomeno stesso sia artistico che propriamente poetico, per cui mi pare non verosimile voler ridurre l'errore (di approccio, di lettura, di giudizio) per via di protocollo condiviso, se non e' a monte condivisa l'esperienza dell'originalita'.


    Che dire quindi di rilevante al discorso? La poesia e' una pratica divenuta sociale in Italia da circa trent'anni, da quando cioe' si e' affermato il pop e introiettato il diritto ai quindici minuti di celebrita', all'individualita', all'originalita' diffusa, che in una pratica "aperta" e "povera" come appunto la poesia sembrano facilmente alla portata, meglio se facendosi portavoce di qualcheduna delle istanze (politiche, sociali, etiche) a cui ci si accoda in tanti, istanze schiacciate a livello rappresentativo formale. Il problema e' che la situazione italiana, come da tradizione secolare, raramente assume dimensioni diverse dalla farsa ancora oggi e che dunque anche gli aneliti delle anime piu' candide o piu' straziate sono ricondotti a lamentucci di maniera.

    Siamo in sostanza troppo cinici perche' da tutto questo polverone davvero ci si aspetti che muti qualcosa, motivo per cui mi stupisce la foga con la quale ci si appassiona a tali questioni. Credo che allenarsi ad esperire l'originalita', se non la propria almeno quella di chi riconosciamo Maestro, anche in privato, sia piu' proficuo che cercare un accordo sindacale o corporativo. Un saluto a tutti e buona estate.

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  10. Siam sempre nella minestra caldissima nella quale galleggia tutto: stronzate e cose buone e ottime. Ma si sa, conviene sempre a tutti tenersi nel grande calderone, così non si distingue e possiamo passare, col beneplacito di tutti, essere pessimi, buoni o ottimi poeti - che essere persone, spero, sia ben altra cosa - Siamo nella bufera, appunto.E mi sento male a sentire questi discorsi così generalisti, così basati su prese di posizione, senza la capacità di distinguere le pratiche, le esperienze positive, il lavoro fatto con umiltà e decenza da quello che non rientra nella categoria di un qualche umanesimo che, chissà dove è andato a finire. Distinguere le pratiche, le esperienze. Non buttare la propria visione del mondo su questa povera creatura derelitta che è la poesia: come farla, a che altezza...ma chi si può permettere di dire ciò? Che oggi si faccia, tutto sommato, poesia più leggibile, quanto meno, rispetto agli anni settanta, è uno stato di fatto. Che gli ismi e le poetiche influenzino il linguaggio oggi, molto meno di quegli anni, mi sembra cosa buona. Che ci si sia formata, per necessità storica, una categoria, di basso o medio o alto livello non importa, di poeti/lettori, mi sembra una cosa buona. Che la poesia e la critica debba essere come qualcuno se la immagina mi sembra cosa meno buona. Che poi, quando si parla di critica, pur criticando, si faccia riferimento solo e soprattutto ai cosiddetti critici di professione, mi sembra atteggiamento ipocrita. Che poi si sia o non si sia capito che alla poesia non compete alcun cambiamento sociale, ma che questo nulla cambia rispetto al proprio staturo, è umanesimo puro, che include anche il sociale mi dispiace dirlo, con tutte le tradizioni millenarie che si porta dietro, non è cosa che possa essere messa in discussione... e si potrebeb proseguire. In genere preferisco lavorare - a proposito è ancora di moda quella cosa a cui faceva riferimento Kant? - ma queste discussioni che sollevano il solito polverone che poco ha a che fare con l'etica finiscono per infastidirmi. A proposito di etica: vorrei che qualcuno mi spiegasse per quale misterioso motivo Nazione Indiana è da considerarsi il blog italiano più trandy che si occupa di letteratura? Rispondere sarebbe già prendersi una piccola responsabilità, cominciare a distinguere ...
    Sebastiano Aglieco

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  11. Interessante il dibattito e interessante la proposta di Lucini.

    Dico subito che concordo e appoggio quanto affermato da Lucini in tutto e per tutto, tanto che - pur non essendo un poeta, pur non lavorando nell'editoria etc etc - mi sono intestardito assieme ad altre persone in un progetto che coinvolga il maggior numero possibile di "protagonisti" della poesia sul territorio italiano.

    è strutturato in sezioni che prevedono oltre alla presenza di interventi diretti degli autori, anche quella degli editori, dei critici e dei lettori. E per evitare lo scoglio iniziale, i "10 euro a testa" li ho messi io.

    è ancora molto presto per tirare le somme dell'esperienza che, di fatto, è appena agli inizi. Però non è semplice unire tante differenti personalità nonostante l'apparente interesse comune che dovrebbe essere la poesia ma molto spesso non lo è.

    L'unica cosa che non mi convince del progetto di Lucini così come proposto - questo "far partire dal basso" le proposte e le attività che sembra essere ormai in voga - non mi convince perché sarebbe come dare in mano ad un bambino il bottone rosso della bomba atomica. Con questo non voglio dire che sbagliare porterebbe all'estinzione del gener umano, ma è una iperbole per dire che per fare in modo che qualsiasi sforzo risulti costruttivo e non si disperda in un mare di parole dove ognuno dice la sua c'è bisogno di gente competente. Questo non è, a mio avviso, partire esattamente dal "basso".

    Dall'altro lato, ogni volta che si parla dei problemi della poesia si fa quasi automaticamente riferimento alla mannaia dell'editoria cattiva e dello schicciamento degli istinti poetici da parte del mercato. Non sono d'accordo. È come quando tutti si lamentano della cattiva qualità della tv-reality poi però nessuno guarda programmi televisivi diversi, fosse pure uno solo in tutta la stagione.

    La questione del mercato-domanda-offerta è un cane che si morde la coda e che non si può fermare gestendo l'offerta ma "controllando" la domanda. Controllare la domanda, nel caso della poesia, significa portare sul territorio (scuole, università, biblioteche, librerie, strade, bar: il mercato) la cultura poetica, contribuendo a creare quella domanda che al momento manca. Poiché è la domanda che spingerà le case editrici a trattare diversamente la poesia ed un mercato poeticamente alfabetizzato fagociterà con il sistema immunitario costituito dal senso critico che si verrà a costruire tutte quegli slanci romantici che tutto sono tranne poesia.

    Mi spiace di essere arrivato in ritardo sulla discussione. Invito comunque Lucini a far parte del progetto in fieri di cui parlavo sopra - ammesso, ovviamente, che lo ritenga opportuno. Uno spazio intero pari a infinito sarà dedicato alla critica ed ai critici che vorranno utilizzarlo e che spero siano in molti.

    Luigi Bosco

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  12. Avevo scritto ed è sparito...

    Riassumo: ciò che dice Lucini è esaltante e lo approvo. Tanto da essermi impegnato in prima persona in un progetto assieme ad altre persone che ha più o meno gli stessi obiettivi. Dico più o meno perché è un progetto che vuole coinvolgere un gran numero di "protagonisti" della poesia contemporanea sul territorio italiano (siano essi autori, critici, editori, direttori di riviste etc.) ma non è un progetto che parte esattamente dal "basso". Questo perché far partire un progetto dal basso senza che il "basso" possieda una base da cui partire presuppone, a mio avviso, uno sforzo poco costruttivo, un rischio.

    Bisogna prepare il "basso" prima di lasciare che esso prenda l'iniziativa e questo è, a mio avviso, il compito di chiunque si occupi della poesia se il suo interesse è la poesia.

    Dare la colpa sempre all'editoria ed al mercato canaglia mi pare un modo troppo semplice di trovare il responsabile di una situazione penosa che ha origini molto più complesse. è come quando tutti criticano la tv-spazzatura e poi non fanno che guardarla con la scusa che non c'è altro quando non è assolutamente vero.

    Si potrà con giusta ragione criticare il sistema mercato e l'editoria quando entrambi non saranno in grado di rispondere alle esigenze del loro mercato. Allora sarà il mercato stesso, più dei poeti emergenti eternamente snobbati, a lamentarsi.

    Il mercato è un cane che si morde la coda che può essere fermato solo controllando la domanda. Invece ci si concentra troppo sull'offerta e questo perché tutti coloro che se ne interessano hanno degli interessi diretti proprio nell'offerta, poiché producono ciò che verrà comprato. Ma se non si prepara il mercato a ciò che si produce, inevitabilmente tutto è destinato al macero (puoi chiamarti anche Zanzotto: ultima raccolta 750 volumi in tutta Italia, isole comprese!).

    Dunque importare nel mercato la domanda che non si pone: ovvero poesia. Ma per fare ciò c'è bisogno di un tremendo lavoro di alfabetizzazione poetica che non c'è assolutamente. Questo lo si fa lavorando sul territorio (scuole, università, strade, biblioteche, locali pubblici etc: il mercato). Questo però manca o se c'è si limita alle singole realtà isolate dal resto del contesto.

    L'obiettivo del progetto di cui sopra è priprio questo: radunare tutti coloro che hanno il medesimo obiettivo e creare una sinergia tra tutti gli sforzi e le attività sparse sul territorio.

    Invito ufficialmente Lucini - se vorrà e lo riterrà opportuno - a far parte di questo progetto che prevede, tra le altre tante cose, uno spazio pari a infinito dedicato alla critica ed ai critici dove saranno benvenuti tutti coloro che vorranno farne parte. (Lo spazio, per evitare lo scoglio iniziale, è gratuito: i 10 euro a testa li ho già messi io).

    Dunque l'intenzione c'è ed è buona. Somme da tirare non ce ne sono ancora poiché il progetto è ancora in fase di sviluppo. Non so se verrà fuori qualcosa di "serio" e costruttivo. Se ciò non accadrà, io personalmente Luigi Bosco, avrò la soddisfazione di essermi guadagnato la possibilità (ed il diritto) di intervenire alle future discussioni di questo tipo dicendo: non rompete più le palle a nessuno, perché i primi a non avere voglia di risolvere il "problema" siete voi che ne parlate. Sotto, ovviamente, allegherò la lista dei "no, grazie".

    Luigi Bosco

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  13. Dunque importare nel mercato la domanda che non si pone: ovvero poesia. Ma per fare ciò c'è bisogno di un tremendo lavoro di alfabetizzazione poetica che non c'è assolutamente. Questo lo si fa lavorando sul territorio (scuole, università, strade, biblioteche, locali pubblici etc: il mercato). Questo però manca o se c'è si limita alle singole realtà isolate dal resto del contesto.

    L'obiettivo del progetto di cui sopra è priprio questo: radunare tutti coloro che hanno il medesimo obiettivo e creare una sinergia tra tutti gli sforzi e le attività sparse sul territorio.

    Invito ufficialmente Lucini - se vorrà e lo riterrà opportuno - a far parte di questo progetto che prevede, tra le altre tante cose, uno spazio pari a infinito dedicato alla critica ed ai critici dove saranno benvenuti tutti coloro che vorranno farne parte. (Lo spazio, per evitare lo scoglio iniziale, è gratuito: i 10 euro a testa li ho già messi io).

    Dunque l'intenzione c'è ed è buona. Somme da tirare non ce ne sono ancora poiché il progetto è ancora in fase di sviluppo. Non so se verrà fuori qualcosa di "serio" e costruttivo. Se ciò non accadrà, io personalmente Luigi Bosco, avrò la soddisfazione di essermi guadagnato la possibilità (ed il diritto) di intervenire alle future discussioni di questo tipo dicendo: non rompete più le palle a nessuno, perché i primi a non avere voglia di risolvere il "problema" siete voi che ne parlate. Sotto, ovviamente, allegherò la lista dei "no, grazie".

    Luigi Bosco

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  14. rispetto al tuo ultimo capoverso:
    serio e costruttivo lo è già il progetto. che poi i poeti siano capaci di lavorare in gruppo questa è un'altra faccenda.

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