sabato 24 luglio 2010

Giuseppe Conte: sui "poetry readings"


Quattro anni fa postai una pagina di Pier Vittorio Tondelli sulla medesima questione. Sarà l'estate, sarà che le letture pubbliche non sono mai cessate, sta di fatto che ci voglio tornare sopra, con questa pagina di Giuseppe Conte, tratta da Manuale di Poesia (Guanda 1995).



"Le letture pubbliche di poesia sono cominciate in Italia negli anni Settanta. Le più importanti furono organizzate a Roma al Teatro Beat 72 da Franco Cordelli: un vero e proprio ciclo di poesia a teatro, con una serie di serate per la regia di Simone Carella. Era la primavera del 1977. La poesia scopriva anche in Italia di poter essere detta, recitata: di far parte di una vitale politica del desiderio; e di dover fare i conti con un pubblico che si aspetta di capire e di essere coinvolto. In America, Russia e Inghilterra i poetry readings sono una specie di istituzione; ho conosciuto un poeta inglese, Brian Patten - uno di Liverpool che ha scritto anche testi per i Beatles, e che ricordo soprattutto perché aveva un accento terribile e una ragazza bellissima - che mi ha raccontato di vivere esclusivamente di letture pubbliche di poesia, una cinquantina all'anno. Le poesie di Evtusenko e di Ginsberg sono persino più belle lette da loro, due perfetti attori della propria scrittura. In Italia non esisteva niente di simile: le poesie ermetiche erano scritte per essere sussurrate in un soffio d'anima, le poesie d'avanguardia erano scritte per essere vagliate da altri specialisti dell'avanguardia, certe poesie di Pasolini erano pensate per l'« Espresso » di allora. Al Beat 72 si affacciò una generazione di poeti che ricominciavano da capo, e si ponevano il problema del comunicare, a partire dai mezzi espressivi più elementari, la voce, il corpo. Io misi in scena una specie di rito mitico-magico, con l'allora attore Pietro Valsecchi - più tardi felicemente approdato al ruolo di produttore -. Tutto il pomeriggio fu perso per trovare delle pietre da disporre in cerchio e convincere una ragazza indonesiana a uscire nuda da sotto un tappeto durante lo spettacolo.
Poi venne la stagione dei Festival, e dell'Estate romana. Quello che era cominciato con grande slancio e forza di invenzione divenne un business politico-amministrativo. Il celebrato festival di Castelporziano fu in realtà un atto di autocolonialismo culturale, nella poesia italiana non produsse niente di rilevante. In quegli anni i festival e le letture si diffusero dovunque. Fu un fenomeno effimero, ma tutti i poeti della mia generazione hanno fatto esperienze di lettura pubblica dei loro versi, e sanno che leggere pubblicamente il proprio lavoro è anche un modo per controllarlo e metterlo a punto. Personalmente, ho proseguito con le letture pubbliche soprattutto all'estero: il luogo dove le letture di versi sono più frequenti è San Francisco e tutta la Bay Area. Lì esistono veri e propri Poetry Centers che vivono organizzando stabilmente incontri tra poeti e pubblico, e il calendario di questi incontri, sulla rivista che li registra ogni mese, « Poetry Flash », diretta da Joyce Jenkins, occupa un bel po' di pagine. Al Poetry Center di Marin County, per esempio, le letture avvengono in una villa circondata da un parco in cui la sera pascolano i daini, davanti a un pubblico pagante e partecipe con una sua straordinaria attenzione. Altro luogo memorabile di letture pubbliche è la Scottish Poetry Library di Edimburgo, diretta da Tessa Ransford. Nel cortile antistante o, in caso di pioggia, e dunque con intensa frequenza, nell'esiguo spazio che all'interno rimane libero tra tanti scaffali di libri di poesia di tutto il mondo, si radunano poeti e semplici appassionati scozzesi che declamano a turno, con dedizione e con ordine quasi rituale, i propri testi. Un pomeriggio che ero lì presente mi dissi che quello era il segno tangibile che mi trovavo in terra celtica, dove sopravvive più che altrove la tradizione di una poesia corale, strumento di conoscenza ed eredità popolare di una stirpe. Il buon apprendista si eserciti leggendo ad alta voce i propri testi, cercando l'intonazione giusta, la interpreta-zione più secca e aderente del dettato poetico. Mai recitare. Mai competere con l'insopportabile tono degli attori che leggono poesia. Essere precisissimi, fermi, fare un uso matematico delle pause, scandire i versi, tenere il ritmo. Nessuno diventa un buon lettore delle proprie poesie se non si esercita a leggerle e rileggerle, quasi a tra-durle in una dimensione orale. Non è detto che tutti i versi debbano essere recitabili ad alta voce: ma se si sta preparando una lettura pubblica, si scrivano e si scelgano versi che lo possono essere con efficacia. Cioè con una densità tematica e ritmica che li renda comprensibili con più immediatezza. Lo stesso vale se si scrivono testi poetici per la radio. Alla televisione, la poesia non ha trovato sinora nessuno spazio, in genere vi vengono presentati come poeti tipi che definire scemi del villaggio è ingeneroso, mi rendo conto, ma inevitabile".

8 commenti:

  1. Le letture sono il modo più efficace di avvicinarsi al pubblico.
    Sono parecchio contagiose: conosco gente che a furia di ascoltare ha cominciato a scrivere :)

    Ciao!

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  2. può essere virale, allora :-)

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  3. Condizione necessaria ma non sufficente per diventare buon poeta è leggere ed ascoltare gli altri poeti ; la scorsa settimana ho letto una traduzione di un intervento di Mandelstam sulla situazione della poesia in Russia,
    scritto attorno al 1920 : l' attualità di questo scritto è ancora oggi viva... soprattutto nel frammentato panorama della poesia in Italia, in quanto dice della dignità di essere autentico poeta, nonostante tutto. Sempre perseverare, mai cedere , ci sia maestro in ciò Giordano Bruno.La forza risiede nell' opera.

    Ciao,
    Sergio

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  4. ottimo consiglio.

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  5. le letture pubbliche, le "recitationes", forse per la loro eccessiva frequenza, non mi convincono del tutto. sono il sintomo della decadenza, come lo furono 1900 anni fa circa. credo che oggi siano il sintomo non di un avvicinamento del (grande) pubblico alla poesia e alla letteratura in genere, ma di un atto di autopromozione da parte degli autori che smaniano per farsi conoscere. per me la poesia è ancora un fatto privato. se è civile, cioè in qualche modo epica, il discorso cambia. ma la lirica, se la categoria ha ancora un senso, è fatta per la lettura e il consumo separato. di solito ai reading conditi di musica e altri effetti multimediali mi addormento. è un mio limite, ma vengo dalla notte dei tempi della lettura borghese, nell'intimo della cameretta: quando sopraggiunge il sonno si spegne e si sogna. quello che hai letto si imprime e non ti lascia più.
    se però ascoltando viene voglia di scrivere: evviva! meglio scrivere melensaggini che sparare cazzate al bar.

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  6. anch'io, in generale, penso che le letture pubbliche siano inutili. e nemmeno sono promozionali: raramente ricordo i nomi di chi legge. e credo che non stimolino a scrivere. è come se, ascoltando un concerto di Bollani, mi venisse voglia di suonare il piano. dal dire al fare c'è di mezzo una decina d'anni di studio solo per imparare la tecnica.

    quanche volta la lettura pubblica può avere un senso: vedi quella che faremo in un rifugio montano la sera del 4 settembre (ne parlerò più in dettaglio fra qualche settimana)

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  7. Le letture pubbliche o in pubblico sono utili se alla base hanno come obiettivo la condivisione. Tutto il resto è solo fuffa fatta male. Per condivisione intendo tutto quello che si nota chiaramente senza bisogno di spiegare nulla quando si entra in un qualunque luogo che ospita una iniziativa di questo tipo.

    Luigi

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