sabato 3 luglio 2010

Gëzim Hajdari e la società letteraria italiana


Gëzim Hajdari (1957), poeta, saggista, traduttore e narratore albanese, laureato in letteratura albanese all’Università di Elbasan e in lettere moderne alla Sapienza di Roma, dal 1992 vive come esule in Italia.

Scrive a Giorgio Linguaglossa, fra le altre cose:

«I miei rapporti con la cultura ufficiale italiana assomigliano a quelli albanesi. Vengo visto come una pecora nera fra i letterati di corte del bel Paese. Il motivo? Sono tra quelli che hanno denunciato pubblicamente e senza mezzi termini la mafia letteraria. Basta pensare alla vecchia gestione del Centro Internazionale E. Montale, la quale aveva costituito una lettera circolare che promuoveva le iscrizioni all’Associazione, in cui si diceva esplicitamente che i “soci”, in regola con la quota associativa (lire trecentomila negli anni più recenti), che intendevano partecipare al premio, avrebbero potuto inviare i testi concorrenti in ogni momento, “specificando chiaramente sulla busta o sul pacchetto raccomandato: Riservato al Premio. In questo modo la Giuria potrà vagliare con maggiore attenzione le opere concorrenti”!!! Questo potrebbe portare rischi enormi al terreno poetico che è un terreno fragile, innocente e sacro, quindi deve essere sgombrato da ogni forma di apporto economico legato alla scrittura, perché i giovani autori potrebbero cadere nelle eventuali, facili lusinghe di chi ne sollecita le aspirazioni a pagamento. È così che si sono formate le gerarchie letterarie italiane, il sistema del sottobosco della cultura italiana di oggi. Tutto questo è conseguenza di una grave crisi politica ed etica che sta attraversando il suddetto paese e l’intero Occidente. Ovviamente, la cultura di un popolo non è altro che un riflesso della sua epoca. Ma la colpa principale penso che sia degli editori, meglio dell’industria culturale italiana che costruisce, come le bambole, raccolte e romanzetti nei laboratori.

Vi sono due tipi di poesia italiana: quella ufficiale e quella irregolare che viene scritta al di fuori delle gerarchie ufficiali. La prima, in generale, è una poesia minimalista, funerea, balbuziente, depressa, scritta dai malati patologici. La chiamerei una poesia eunuca e i suoi poeti santi e castrati. La poesia ufficiale italiana, dopo la scomparsa dei grandi, vive il suo momento più tragico; si trascina in un’agonia continua. Non dobbiamo dimenticare che l’Italia nasce come il paese della poesia, il romanzo nasce in Oriente e viene dai paesi de Le Mille e una notte. Si può dire che questo Paese è vissuto da sempre spiritualmente ed economicamente, grazie alla poesia nelle sue varie forme. Ma purtroppo questa tradizione straordinaria è andata persa. Che ne sapevano Dante o Petrarca che la loro Italia sarebbe diventata il paese del romanzetto della domenica e dei poeti timorosi di Dio! I nipoti di Dante oggi scrivono i testi per la Via Crucis, dedicano poemi immacolati alla Madre Maria, scambiano l’utero per la vagina e fanno a gara per dichiararsi pubblicamente credenti cattolici fino al midollo. Vanno alla messa due volta al giorno. D’altronde tutto il paese è sotto la protezione della parola divina del Signore. Attori, onorevoli, senatori, presentatori, giornalisti, ministri si vantano di essere devoti ai santi e alle Madonne. I presidenti giurano in nome della Bibbia. Sono uomini di carriera e nessuno vuole rischiare. La colpa? la mancanza di una vera politica culturale laica da parte delle istituzioni, ma anche della grande industria culturale che manipola il consenso dei lettori. L’editoria italiana, appoggiata dai mezzi dei mas media, è diventata una fabbrica orrenda che sforna romanzetti come ciambelle. All’interno di questa fabbrica diabolica e perversa lavorano impiegati (che si spacciano per poeti e scrittori, un tempo nelle loro poltrone si sedevano Pavese, Calvino e Caproni) ventiquattro ore su ventiquattro, che fanno editing, costruendo a tavolino capitoli e componimenti poetici secondo i gusti e le mode del giorno. Gli autori sono contenti e felici, basta che le loro operette vengano pubblicate con i grandi editori. Puoi essere il poeta più straordinario, ma se non hai pubblicato il romanzetto della domenica, in Italia non sei nulla. Puoi lavorare da una vita, creando dei grandi valori letterari per l’umanità, ma con un romanzetto puoi occupare tutte le pagine dei grandi quotidiani, che ti spianano la strada verso Marzullo, Vespa, Costanzo show, poi viene la valanga dei premi, traduzioni all’estero, soldi, tanti soldi. In fine il ricevimento al Quirinale. Ma non finisce qui, dopo il romanzetto si passa alla fiction, perché alla Rai attendono le veline… Infine si contano milioni di euro di guadagno. E’ tutto un giro e tutto un affare. Insomma, lo scrittore diventa una merce del grande marketing per riempire le casse della fabbrica che non smette mai, purtroppo, di divorare impietosamente boschi enormi di alberi. Ma nessuno denuncia questo squallore, perché i giudici, gli avvocati, i presidenti dei tribunali, i giornalisti, i funzionari dello stato, i docenti universitari, i presidenti dei consigli comunali, anche i loro segretari, i sindaci, i ministri, i medici, si sono improvvisati poeti e scrittori, uomini di potere, quindi scambiano tra di loro favori, pubblicazioni e premi. Ma nessuno ha il coraggio di alzare la voce contro questo sistema perverso. C’è una corruzione spaventosa nel campo del sottobosco della cultura italiana, una mafia letteraria potente. Se non sei uno di loro, ti chiamano infedele, altro che integralisti islamici.

La bella poesia italiana abita al di fuori delle gerarchie ufficiali, perché i veri poeti sono dei profeti e vanno oltre la poesia e non accettano ricatti squallidi.

Dov’è l’onestà intellettuale? Quel che Montale chiamava “decenza quotidiana”. La vera poesia italiana deve prendere le distanze da queste gerarchie basate sulla corruzione e sulla disonestà intellettuale di fronte alla pagina bianca. Essa si può salvare soltanto scoprendo e rivalutando la poesia “ribelle” al sistema - che in Italia non manca - ed aprendosi ai nuovi mondi, in nome della vera legalità e della vera trasparenza, ripristinando un nuovo legame fra testo e onestà intellettuale, fra parola e verità, fra Poesia e Vita. Ci vuole sangue nuovo nella poesia. E la linfa nuova la porteranno i mondi più offesi del globo, ai quali spetta l’avvenire della poesia. Ma per fare questo c’è bisogno di aprire dei dibattiti sulla poesia, sui premi letterari, sullo sperpero del denaro pubblico, sul ruolo della stampa e dei mezzi di comunicazione, sul ruolo della critica e dell’etica culturale. Ogni opera letteraria, prima di tutto, è un atto morale. La poesia e la buona letteratura aiuta a sopravvivere in questo tempo di oggi, funesto e agonizzante. L’ermeneutica di Heidegger e Gadamer di Derrida e Steiner, ci ha insegnato a leggere l’opera d’arte come l’annuncio di un mondo in cui dobbiamo imparare ad abitare, invece che come un oggetto che possiamo mettere accanto ad altri in una collezione. La poesia è anche impegno, ma non solo sul verso, sul linguaggio, come predicano alcuni “grandi” letterati del Bel Paese, ma nella Vita».

Un caro saluto.

Gezim

 
nota: Blanc de ta nuque, pur non condividendo i toni esasperati della denuncia di Hajdari e comunque declinando sull'autore la responsabilità di quanto afferma, ritiene doveroso lasciare la parola ad un intellettuale autorevole che vive da molti anni in Italia.

6 commenti:

  1. Personalmente, invece, condivido in toto - i toni come i contenuti.

    C'è molta più letteratura nella Mondadori che pubblica Canale Mussolini e gli fa vincere il premio Strega che in tanti romanzi pubblicati negli ultimi 5 anni.

    Luigi

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  2. non mi interessa che la poesia porti una morale;la morale ha sempre a che vedere con una favola, non sto scherzando,intendo dire che i buoni propositi restano propositi e poi concretamente, nella realtà del vivere quotidiano si fa tutto e l'esatto contrario giustificando ogni cosa a suon di chiostri e inchiostri come barricate. Penso che ci sia necessità di corrispondenza tra ciò che si dice e poi si vive, di responsabilità e consapevolezza personale,c'è necessità di una pulizia ideologica che consenta di ascoltare ma anche di dire con nitidezza,senza falsificazione e manipolazione del pensiero e di ciò che è stato compiuto. Penso che sia doveroso per ciascuno una lealtà del dire,salvaguardando ciò che davvero è importante per la vita, parola compresa,ma una parola che abbia grazia ed energia.Non è divina la parola è una striscia (dice Dante) che si nasconde tra le erbe in Purgatorio,quasi a riconoscere la sua capacità di trasformazione, la sua capacità di rigenerarsi e ri-generare in altri la capacità di creare e ricreare il mondo, non di chiuderlo dentro recinti fittizi spacciandoli per verità che nessuno ha e possiederà mai,ma è una parola che va mantenuta sempre in osservazione senza crederle mai completa-mente.Condivido molte parti dell'analisi di Gëzim Hajdari e lo ringrazio per la schiettezza e la franchezza del suo dire con passione. Anche il nostro paese, come gli altri, sta trasformandosi da tempo in un'aafrica emotiva, anzi il deserto è molto meno arido di questo paese.fernanda f.

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  3. in buona parte condivisibile, il commento non dice che anche fuori dalla spaventosa ufficialità, sul terreno di una poesia che possiamo chiamare resistente, di piccoli editori, di comunità ideali alternative, che la rete moltiplica, si creano relazioni pericolose ed esclusive comunque. qui non circola denaro, ma circolano atteggiamenti snobistici che funzionano da napalm sui germogli poetici. questo perché la moltiplicazione del popolo poetante e narrante (che è tuttavia un bene) produce su una scala più ampia un fenomeno tipicamente italiano: la corte. la corte con la sua natura autoreferenziale: chi scrive coincide con "tutti meno uno" chi legge e viceversa. fuori da scrittore/poeta - lettore non c'è pubblico. in un paese non libero e affaristico a chi può interessare di allargare i mezzi di comprensione e partecipazione alla parola scritta, se non come business? duole osservare che non interessa neanche ai poeti resistenti, che, per quanto sinceramente credano di essere aperti e disponibili, portano dentro il germe dell'elitarismo.

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  4. margherita ealla4/7/10 20:13

    Piuttosto d'accordo con Lucy quando dice che anche sul terreno dei “piccoli editori, di comunità ideali alternative, che la rete moltiplica, si creano relazioni pericolose ed esclusive” e che neppure essi sfuggono a tentazioni autoreferenziali ed elitarie,
    diffidando inoltre, in genere, dei toni enfatici che tendono a creare dicotomie e perciò a generalizzare
    (qui per es. , posso anche essere d'accordo sul fatto che la poesia delle “gerarchie ufficiali” sia in generale “minimalista, funerea, balbuziente, depressa, scritta dai malati patologici.”, ma, allo stesso tempo, non sono così sicura che non lo sia quella non ufficiale -anzi,tolta l'esagerazione dei “malati cronici”, direi che le caratteristiche si riscontrino cmq)

    ho inoltre qualche dubbio sul fatto che “La bella poesia italiana abita al di fuori delle gerarchie ufficiali, perché i veri poeti sono dei profeti e vanno oltre la poesia e non accettano ricatti squallidi.”
    (soprattutto su questa immagine idilliaca dei poeti-profeti che non accetterebbero ricatti squallidi...., secondo me il poeta è un uomo -finora nn si è dato ancora questa caratteristica in un automa- e dunque ci sono poeti indegni come esseri umani, altri invece encomiabili, indipendentemente dai loro risultati letterari)

    e sul
    “Si può dire che questo Paese è vissuto da sempre spiritualmente ed economicamente, grazie alla poesia nelle sue varie forme”

    anche qui, quell'economicamente,...

    Al di là di questo, però, “sposo” in pieno l'analisi sui premi letterari originati da spinte editoriali verso romanzi-fiction, autori inconsistenti, sullo sperpero del denaro pubblico, sull'imbonimento generalizzato ed anestetizzante.

    Perciò, visto che il poeta è un umano, io dico che sì, condivido, “La poesia è anche impegno” a largo spettro, attraverso il verso e il linguaggio.

    Ciao!

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  5. di ogni testo, va fatta l'analisi dettagliata e si trova lo scarto che ci differenzia dalla voce parlante. non credo ai poeti-profeti e diffido dei poeti potenti. mi interessano le poesie, che sono buone indipendentemente dagli editori.

    Si tenga conto che la lettera di Gezim va a supportare la proposta di Linguaglossa.

    Da parte mia, non credo che la poeia minimalista o funerea sia da buttare solo per questa sua caratteristica. però non si può parlare in generale,. datemi una poesia funerea e ne parliamo.

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  6. Egregio amico, sono d’accordo con la maggior parte delle osservazioni riportate da Gëzim Hajdari
    Ma non facciamoci più male di quanto già ce ne addossano, io ci provo, e data l’età e l’arrugginirsi della mente non pretendo di più, ma non si venga a dire che tutti coloro che trattano i temi religiosi lo fanno per un patologico timore reverenziale verso Dio!
    Nei miei – mal riusciti… – tentativi non mi sento né santa o né castrata… secondo i gusti e le mode del giorno…
    Ma “Dov’è l’onestà intellettuale? “
    Questo è davvero un bel problema da passare a qualche giovane che ha il talento e il coraggio di farne una sua bandiera!
    “Ma per fare questo c’è bisogno di aprire dei dibattiti…”

    http://notediluce.blogspot.com

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