giovedì 28 gennaio 2010

Elsa Morante: che cos'è la poesia



La copia de Il mondo salvato dai ragazzini (Einaudi 1968), acquistata un paio di anni fa da Valentino Ronchi, giovane poeta e commerciante di rarità poetiche novecentesche, è la ristampa dell'originale, la quale porta una nota introduttiva anonima, ma scritta molto probabilmente dalla Morante. Mi sono accorto che le edizioni successive (la mia è del 1971) mancano di tale avvertenza critica, assai importante per inquadrare la poetica e l'ideologia della poetessa. Per questa ragione la pubblico su Blanc, così che tutti possiamo godere della sua lucidità e lungimiranza, contando in futuro di postare alcune sue poesie davvero sorprendenti.


Nota introduttiva


Sulla funzione della poesia nel mondo, e in particolare nel mondo nostro contemporaneo, Elsa Morante ha esposto le proprie idee in varie occasioni (per esempio, nel 1959 in un suo saggio sul romanzo, nel 1965 nella sua conferenza Pro o contro la bomba atomica, ecc.). A riassumerle in breve, essa considera il poeta come «centro sensibile» del dramma, naturale e storico, degli altri viventi: ma non, ovviamente, in qualità di semplice spettatore, o strumento di registrazione. Attraverso il disordine apparente del dramma, il poeta deve restituire continuamente agli altri la realtà, intesa come il valore sempre vivo e integro che è nascosto nelle cose. Per arrivare a scoprirla e a renderla, deve affrontare «per cosi dire, a occhi aperti» e senza smarrirsi, la vicenda paurosa, davanti alla quale gli altri si accecano e si perdono, arresi al caos. Deve partecipare alla loro esperienza, attraversare la loro stessa angoscia. E simile destino apparenta il poeta-cavia della Morante da una parte al voyant di Rimbaud, e, dall'altra, all'intermediario «che nei miti affronta il drago notturno, per liberare la città atterrita». Nella nostra epoca, il dramma collettivo, storicamente inteso, ha acquistato una evidenza e un'estensione senza precedenti. Oggi, a nessun individuo cosciente sarebbe permesso di non sapere. I mezzi della scienza pratica pongono anche l'uomo più comune, quotidianamente, in presenza di tutta l'innumerevole miseria e strage che affolla il mondo in ogni sua parte. Anche l'uomo più comune oggi ha, davanti ai suoi propri occhi, la prova che tutti i viventi della terra sono suoi uguali nella sostanza e nel dolore. Ma davanti a questo spettacolo, che dovrebbe aprirgli la coscienza, spesso l'individuo e la collettività reagiscono invece, forse per una difesa malaugurata, con la scelta opposta. La scienza stessa, mentre fornisce i mezzi fisici per vedere, offre il sistema per accecarsi. A tutti i mali che da sempre appartengono alla natura, oggi sovrasta l'infezione dell'irrealtà, che è contro natura, e porta necessariamente alla disintegrazione e alla vera morte. Le nostre tribù contemporanee, una dopo l'altra, si fanno suddite e schiave del regno dell'irrealtà. E la funzione dei poeti, che è di aprire la propria e l'altrui coscienza alla realtà, è oggi più che mai difficile (fino all'impossibile) eppure più che mai urgente e necessaria. Nessun poeta, oggi, può ignorare la disperata domanda, anche inconscia, degli altri viventi. Più che mai, la ragione della sua presenza nel mondo è di cercare una risposta per sé e per loro. Il presente libro (che qui si ripropone alla lettura in una edizione più accessibile) vuol essere la rappresentazione di una simile ricerca. In una serie di poesie, poemi e canzoni, una coscienza di poeta, partendo da una esperienza individuale (Addio della Prima Parte), attraverso una esperienza totale che si riconosce anche nel passato millenario e nel futuro confuso (poesie della Seconda Parte, e in particolare il poema, in forma di dramma La serata a Colono) tenta la sua proposta di realtà comune e unica (canzoni della Terza Parte). Si capisce allora perché Elsa Morante definisca il suo libro, fra l'altro, romanzo e autobiografia: non intendendo questi come un séguito di fatti particolari o personali; ma come l'avventura disperata di una coscienza che tende, nel suo processo, a identificarsi con tutti gli altri viventi della terra. Il mondo salvato dai ragazzini, scritto in gran parte nel corso del 1966 e terminato nell'estate del 1967, è uscito in prima edizione nella primavera del 1968. Sono gli anni cruciali del grande movimento giovanile contro le funebri macchinazioni del mondo attuale organizzato: e la corrispondenza delle date non è casuale. Un'analoga rivolta disperata e inarrestabile (che si definisce, secondo i suoi termini reali, «rivolta contro la morte») è alle origini di questo libro e ne disegna il destino: risolvendosi, come suo tema liberatorio (unica possibile risposta alle domande) nell'Allegro della sua terza parte, le «Canzoni popolari», fra le quali si trova la serie di canzoni che da il titolo al volume. Il significato di questo titolo non è davvero frivolo (come ha presunto forse qualche consumatore di passaggio, che non ha letto il libro). Chi siano, in ultima analisi, secondo l'autrice, i ragazzini, è spiegato nella prima delle «Canzoni popolari», la ormai quasi famosa Canzone degli F. P. e degli I. M. Essi si identificano, in sostanza, coi Felici Pochi (F. P.), nei quali consiste il sale della terra, e che saranno sempre, infine, i veri rivoluzionari. Che questi poi oggi si trovino (quando si trovano) in ispecie fra i giovanissimi, è un fatto significativo delle società attuali, le quali non tardano a sopprimere, in varia maniera, il non assimilabile, o a corrompere tutto quello di cui si appropriano. Il rischio, oggi più che mai, è «diventare adulti». E questo spiega non solo l'impegno estremo e urgente di tanti ragazzi; ma anche la «fuga dalla vita» di tanti altri, che si riducono al suicidio e alla droga. Davanti a questo tragico fenomeno collettivo, di cui nella Storia non si ricorda l'uguale, gli adulti di tutto il mondo deplorano, denunciano, si scandalizzano, reprimono; ma se cercassero, piuttosto, di capire, arriverebbero invece a domandarsi se questa fuga disperata non sia dovuta, forse, al fatto, che loro, gli adulti, oggi consegnano ai bambini un mondo inabitabile. Adulti nel linguaggio della Morante va inteso specialmente nel senso di coloro che esercitano il potere («di qualsiasi potere si tratti» - essa ha precisato nella prima edizione di questo libro - «sia esso finanziario, o ideologico, o militare, o famigliare, o di qualsiasi altra forma, origine o pretesto»). E in realtà, secondo la sua opinione, la sostanziale indifferenza degli adulti di fronte alla tragedia giovanile contemporanea, risponde a un loro interesse preciso, anche se in parte inconscio: difatti la fuga dalla vita di tanti probabili avversari del potere conviene troppo al potere stesso perché questo si risolva a combattere il fenomeno con le armi giuste della responsabilità e della conoscenza. L'esercizio del potere è un vizio degradante, che rende ciechi alla realtà (La canzone degli F. P. e degli I. M. ). Gli adulti, dediti a tale vizio, sembra non si accorgano che, oggi, quella che loro edificano con tanto fragore è la fabbrica della morte. E con questa parola la Morante non intende solo la morte fisica, la quale potrebbe rivelarsi, alla fine, nient'altro che uno spettacolo illusorio dei sensi, atti per natura agli inganni; ma la morte reale (quella che oggi, con parziale eufemismo, viene detta alienazione). Alla tragedia propria, da sempre, della sorte umana (coscienza stretta nelle dimensioni dello spazio e del tempo) si aggiunge oggi un rischio collettivo e totale nuovo nella storia: il quale minaccia, prima ancora che la sopravvivenza fisica, le ragioni valide a giustificare questa sopravvivenza. Ora, questo malessere estremo sembra avvertito più naturalmente dai ragazzi, i quali aprono i loro occhi, non ancora viziati dal potere, su un mondo degradato. La poesia di Elsa Morante è, ovviamente, di una terribile attualità. Però, grazie al cielo, l'attualità di libri come questo non si presta a essere consumata all'istante come merce. Secondo l'autrice medesima, i suoi veri lettori saranno quelli che, oggi, non sanno ancora leggere. In quanto ai critici, in genere hanno fatto «orecchi da mercante» come ha scritto Pasolini in una sua lunga critica-poesia dedicata a questo libro. Fra quelli che ne hanno scritto, ne scegliamo qui alcuni, i quali ne hanno dato diverse letture a seconda dei loro diversi punti di riferimento.

Carlo Bo («Corriere della Sera») l'ha riguardato anzitutto come atto di sovvertimento anarchico: «Qualcosa per molti anni deve aver colpito il nervo centrale della sua passione vitale perché oggi la scrittrice senta di dover contravvenire a tutta la condizione dell'uomo [...]. La Morante delle poesie non ha nulla a che fare con quella che è la linea della lirica moderna, anche se saltano immediatamente agli occhi richiami, aperti riferimenti, aperti fino a toccare il margine della provocazione. Ma la contraddizione apparente va spiegata con la globalità dell'operazione che è - vale la pena di ripeterlo - scatenata da uno spirito di profonda anarchia. Non ci sono, e pertanto sembra inutile cercarli, termini che consentano dei recuperi culturali: il suo no cancella tutto il suo passato e nello stesso tempo annulla qualsiasi spazio che non appartenga in qualche modo già al mondo del silenzio. La stessa immagine, la stessa poetica del "ragazzino" dipendono da una frattura con il resto del mondo organizzato, rispettando invece con una sorta di religione l'idea della vita cosi com'è e così come la società fa di tutto per corrompere o ridurre o addirittura spegnere».
Piero Dallamano («Paese Sera») lo ha descritto come un «itinerario di ricerca» verso il sovrasensibile e il centro religioso dell'esistenza: «[...] in certo modo, il libro appare come il taccuino apparentemente disperso in cui si consegnano le tappe di un viaggio e la sua risposta, a livelli diversi. Allucinazioni e deliri già alterano i confini dell'individualità ben precisa; il poeta è uomo e donna, si identifica con Edipo, che ha gli occhi piagati ed è morente (non già nel bosco sereno in cui cantano gli usignoli, presso a Colono, ma in un ospizio di pazzi); gli si spalanca di dentro l'essenza vera dell'universo [...]. L'esistere, il mondo, gli esseri sono come una specie di ruota che ripropone senza tempo le stesse vicende [...]. Il mondo, l'esistere, la morte, il dolore "tutto questo  / in sostanza e verità / non è nient'altro /  che un gioco ". Ovviamente, in questa conclusione, così radicalmente lontana dalle misure che si legano al tempo e alla storia, il lettore deve scoprire quale risonanza, complessità, ampiezza di armonici e di significati contiene questa parola cara ai ragazzini e ai poeti: gioco».
Goffredo Fofi («Quaderni piacentini») si sofferma in particolare sulla terza parte «Canzoni popolari» discutendola soprattutto nella sua possibile funzione di dialogo coi Movimenti giovanili: «In essa» - spiega a proposito della Canzone della Grande Opera e in particolare del suo protagonista, il Pazzariello - «[...] la visione della Morante, decisamente metastorica, è bensì di un metastorico abbastanza diverso da quelli a cui siamo abituati. Innanzitutto perché il Pazzariello si cala in una mitologia concreta, mediterranea [...]». Quindi, dopo aver esaminato i rapporti fra la seconda e la terza parte del libro, «cioè tra la tragedia della conoscenza e una proposta di suo superamento», osserva: «Su questa proposta (terza parte) il libro è un invito a reagire, e il lettore - ragazzine o aspirante F. P. - che voglia concedere alla trascinante simpatia del testo, dovrà pur reintrodurre confronti più concreti, se ritiene possibile accettare il dialogo. E questi non possono condurci che alla Storia. Dunque, anche al progetto. Trascurando ogni assurdo rimprovero di genericità di analisi, il ritegno nei confronti del libro finisce coll'avere alcune motivazioni concomitanti [...]». Ma conclude infine che se poeti del genere (della Morante) «non esistessero mancherebbe alla nostra compiutezza umana e alla limpidezza del nostro progetto qualcosa di difficilmente sostituibile».
Pier Paolo Pasolini ha dedicato al libro due scritti. Uno, è la critica-poesia già citata (uscita in due puntate sulla rivista «Paragone») in cui loda soprattutto l'umorismo della Morante: «[...] l'umorismo come carità, è questa... la Grazia! » e dice, a proposito del personaggio del Pazzariello: «È facile scandalizzare i borghesi. / Meno facile è scandalizzare " Tutti ". / II Pazzariello, lui, scandalizza " Tutti "». E l'altro scritto, è un corsivo uscito nella sua rubrica « II Caos» nel quale Il mondo salvato dai ragazzini è visto essenzialmente nel suo valore politico: «II libro della Morante è addirittura un manifesto politico. Il manifesto politico, potrei dire paradossalmente, di quella nuova sinistra che in Italia pare non poter esistere, crescere [...]. Un manifesto politico scritto con la grazia della favola, con umorismo, con gioia (ecco perché prima dicevo che se c'è una fatalità nel destino di un libro, essa è voluta dall'autore: la Morante infatti non ha voluto sapere che grazia, umorismo, gioia sono sentimenti e strumenti stilistici, oggi, incomprensibili). Ed è dunque arduo per un lettore e un critico comprendere come, invece, il fondo di questo libro sia atrocemente funebre, e contenga tutte le ossessioni del mondo moderno: l'atomica, la morale dei consumi e il profondo desiderio di autodistruzione, non più come flatus vo-cis o luoghi comuni, ma come elementi assolutamente originali e vissuti personalmente, dentro un sistema linguistico così comunicativo da scandalizzare».

4 commenti:

  1. un bellissimo regalo.
    grazie, stefano
    stefania c.

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  2. ottima nota introduttiva. Si riconosce realmente la morante.

    Mi piace molto:
    A tutti i mali che da sempre appartengono alla natura, oggi sovrasta l'infezione dell'irrealtà, che è contro natura, e porta necessariamente alla disintegrazione e alla vera morte.

    sono pienamente in accordo

    giordan

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  3. ciao giordan, a presto :-)

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