martedì 8 dicembre 2009

Farabbi: solo dieci pani



Il viaggio verso la perdita del centro – inteso nell'accezione moderna, quale perno attorno cui far ruotare il senso del mondo, in una convergenza che subordina il bello all'utile e il vero al consenso popolare – Anna Maria Farabbi lo completa in questo piccolo libro, il cui titolo riconduce, al pane, sia la vicinanza fra bellezza e semplicità essenziale, sia i passi (dieci) che servono per darsi in dono alla soglia in cui già sempre siamo, in quel luogo liminare in cui l'identità sta nella rete delle differenze, condensando in un sistema di rifrazioni costantemente aperto all'altro. Altro, invero, diverge già in seno all'identico, divarica il dato per restituircelo vivo di possibilità, che la parola nomina e custodisce. Parola, identità e differenza si danno tuttavia insieme, fioriscono nello scrigno dell'interrogare, che tutti ci accomuna e che s'imparenta con la consapevolezza, altrettanto comune, di essere mortali. La poesia, che si misura con le cose ultime, ha questa responsabilità: coniugare l'orrore per l'ingiustificabile (traducibile nelle domande: perché morirò? Perché soffro?) con l'intuizione preliminare della necessità d'ogni accadere. Tale intuizione talvolta condensa nell'atto di fede, talaltra, come nel caso di Anna Maria Farabbi mantiene il contatto con le ragioni antropologiche, pagane, rettiliane dell'agire umano, con quella noce vitale che trattiene e rinvigorisce gli elementi, sgorgando quale polla sorgiva dalla pagina bianca e fecondandoci l'orecchio, come l'Arcangelo nell'Annunciazione. "Avvenga di me quello che hai detto", Anna Maria non lo dice alla volontà divina, bensì all'impasto tutto terrestre della natura, all'uno che trascende il particolare senza mai essere altro dal particolare stesso. Non c'è resto che fondi il nostra passare precario; solo dieci pani (LietoColle 2009) ci invita tuttavia a non sentirne la mancanza, per sceglierci nella pienezza "della dilatazione", del legame aprentesi che fa uno cielo e terra, divini e mortali, parola e silenzio, domanda e risposta.




il colloquio tra figlia e madre


Ho studiato che il rosone di alcune chiese romaniche è stato progettato come meridiana notturna affinché i monaci, durante la preghiera, potessero conoscere l'ora osservando le stelle, attraverso la rosa vitrea.

Non tanto per conoscere l'ora figlia mia, ma per l'esercizio interiore della dilatazione. Per l'accoglienza intima dell'infinito. Sì studia. Ma dimentica tutto umilmente. Raggiungi le terre oltre le chiese. Entra nel fuoco assiale della tua lente interiore. La meta profonda del viaggio è in te: saper mangiare pane respirando il vuoto limpido.



zero

andrò dalla vecchia
consegnandole il mio tempo
in una ciotola di argilla

al mio fianco il fiume scende
con dentro la montagna liquefatta

cercheranno la mia essenza acustica
e la migrazione della mia rondine interiore.



otto

l'uccello ha la sua ombra
anche quando vola altissimo in cielo:
voce del verbo vedere

non con gli occhi.
Scrivo in terra tastandola odorandola... con i madonnari
una di loro...... Scrivo poco e semplice

tutto il tempo a studiare
grammatica interiore come si fa segno
come si respira esattamente entrando nella voce
come si riconosce il pane nel deserto
educando i sensi alla moltiplicazione
umilmente.

Caro amore devo a te ogni coniugazione
ogni tempo e ogni modo perché il mio io singolare
vive plurale.



qui la biografia

12 commenti:

  1. la terza poesia proposta mi ricorda molto il poeta cinese yang lian (di cui ti avevo mandato i testi stefano giusto?).
    è una struttura particolarmente attenta al respiro questa poesia; è attenta alle pause.

    come mai la scelta di inserire solo 3 poesie nel post?

    Anila

    RispondiElimina
  2. ti avevo promesso che le poesie di Yang Lian le postavo. lo farò presto.

    solo 3 poesie perché il libriccino ne contiene solo 10 + due brevi "colloqui", uno in prologo l'altro in epilogo.

    9/12/09 07:29

    RispondiElimina
  3. Le amate metafore di terra, la visione del linguaggio umano e della propria vita all'interno del più vasto moto naturale: Anna Maria Farabbi è sempre fedele al suo sguardo. Poesia dell'essere e del divenire, concreta e insieme alta, sublime.
    Antonio Fiori

    RispondiElimina
  4. e i tuoi commenti, caro Antonio, sono sempre puntuali, da uomo che conosce la vita e la poesia.

    RispondiElimina
  5. Bellissimo "il colloquio tra figlia e madre": le parole trasmettono un grande senso di confidenza e saggezza (la saggezza "antica", legata alla natura e all'accettazione delle fasi della vita). Una saggezza che "libera".
    "zero" è un quadro perfettamente riuscito: l'immagine del "fiume che scende con dentro la montagna liquefatta" è forte ed emozionante.
    Un caro saluto
    stefania

    RispondiElimina
  6. margherita ealla10/12/09 19:09

    Ritrovo in queste poesie quello che mi viene incontro ogni volta che leggo A.M.Farabbi: la Grande Madre
    (quella ciotola che qui raccoglie e accoglie e ascolta e sente e genera,
    quella "essenza acustica" che risiede nella ciotola spiraliforme dell'orecchio)
    la grande madre che è "terra" ma soprattutto la capacità di generarla o, meglio, di trasmutarla in carne e sangue, quasi che da essa esca il vivente per generazione spontanea.

    Così, qui l'atto che corrisponde al plasmare maschile (che è un atto sì di modellazione, ma anche di contenimento, il respiro fiato dato solo successivamente)

    qui, dicevo, al plasmare maschile corrisponde la lievitazione (che è anche quello che succede al ventre incinto),

    un dare aria a ciò che è acqua-terra (nn a caso un altro simbolo, oltre al pane, alla farina ecc.. è l'uccello, l'uccellina, la rondine...)
    un respiro dunque che permea
    e che nutre.

    Perchè un altro tema è appunto quello del nutrimento, che passa anche per il taglio, l'uso del coltello (la divisione del pane o del corpo amato - che consente di tracciare un legame storico culturale fra la dea madre e il cristianesimo (ma spero di nn sembrare blasfema)

    Una femminilità concreta vera, di radici, che, come dice Stefania, emoziona.

    Grazie.
    ciao

    RispondiElimina
  7. margherita ealla10/12/09 19:29

    sorry, devo concentrarmi di più sulla tua presentazione (che in genere leggo dopo per non farmi condizionare)
    perché vedo che in altro modo (e certo più fondato del mio, avevi detto benissimo: "fecondandoci l'orecchio, come l'Arcangelo nell'Annunciazione", il legame con l'aria e con il cristianesimo).

    Allora già che ci sono, aggiungo qualcos'altro
    per es. che "zero" la trovo strepitosa e con un "respiro" orientale (mannaggia il mio desiderio di "unificare"),

    e che i versi finali:
    " perché il mio io singolare/
    vive plurale."
    declinano in modo diverso (rivolgendosi ad un "caro amore", che non è però detto essere esterno) quel
    "mi contraddico! Sono grande, contengo moltitudini" di Whitman
    (e se una grande madre non contiene moltitudini, chi allora? :))

    RispondiElimina
  8. mannaggia Margerita vedi mai che abbiamo lo stesso sentire, tu matematica io parolaio :-)

    ciao Stefania. In verità, nel libro, il colloquio tende a dissolversi, a diventare monologo con la parola-madre, con il sé generante.

    RispondiElimina
  9. "Scrivo poco e semplice
    tutto il tempo a studiare
    grammatica interiore come si fa segno".
    In annamaria-che in copertina fonde il suo nome sempre abbassandosi,ed è la sua altezza- trovo qui ancora la capacità di sbalzarci in una dimensione d'innocenza che rivela profondità di sapienza ancestrale. La sua parola ha il sapore terrestre dell'accoglienza di donna e insieme la necessità del "raggiungere le terre oltre le chiese". Dieci pani che, nonostante i rimandi evangelici, travalicano il territorio della religione comunemente intesa dilatandosi alla dimensione pura dell'interrogazione. Una scrittura non mistica, ma di grande, responsabile sostanza etica.
    annamaria ferramosca

    RispondiElimina
  10. in effetti, sulla copertina ci sarebbe qualcosa da dire: per esempio la sua povertà francescana, mimetica allo spirito dei testi. Credo infatti sia l'unica copertina lietocolle che non ha nulla di più che la materia di cui è fatta, senza immagini e colori.

    grazie per il commennto, Annamaria.

    RispondiElimina
  11. grazie a te per la selezione attentissima degli autori che proponi e per questo tuo lavoro al servizio della poesia.Purtroppo posso visitare con grande parsimonia i blog preferiti, per i miei problemi alla vista, me ne rammarico. cari auguri a voi tutti,
    annamaria

    RispondiElimina
  12. ti ringrazio per queste buone parole. E ti auguro che i problemi alla vista si risolvano al meglio!

    RispondiElimina