giovedì 26 novembre 2009

Annino legge Lucetta Frisa



Capita di rado che Cristina Annino scriva sulla poesia d'altri. Quando la fa, è davvero un fatto eccezionale, che merita di essere conosciuto. Non è un caso, tuttavia, che essa scriva, apposta per Blanc de ta nuque, su Lucetta Frisa, giacché è ben chiara una sorellanza poetica fra loro due, sotto almeno tre aspetti: entrambe pensano alla poesia quale "direzione rigorosamente orizzontale, lungo un’asse che però non schiaccia differenze temporali e spaziali, non azzera asperità, gerarchie, valori"; entrambe scrivono della casa quale luogo in cui la selva convive con il giardino; ed infine, sia per Annino che per Frisa, l'estasi del sentimento tende a zero per lasciare spazio al rigore della ragione, che sempre tracima, come il dio nietzscheano.



DENTRO AL CANYON DI LUCETTA FRISA
(di Cristina Annino)


Le più belle pagine del libro (e ce ne sono tante) di Lucetta Frisa, Ritorno alla Spiaggia, edito da La Vita Felice, Milano, con una presentazione ampia e molto interessante di Gabriela Fantato, sono, a mio giudizio, i 123 versi del poemetto Un’isola, pagg. 33 –37 dove mi sembra si raggiunga, oserei dire “senza sensi di colpa”, l’autentica naturalezza dell’emotività di Frisa. Avverto persino l’idea di una felice caduta di colore, quasi che da questo si passi, in virtù di un ipotetico taglio di montaggio, a una proiezione narrativa in bianco e nero da film di gran classe.
L’abilità registica di Frisa la si capisce fin dall’inizio della lettura del testo, lei tesse, dispone, aggiusta (e se è vero che sia così per chiunque narri, il buon poeta rende più evidente ciò che desidera lo sia) persone, sentimenti e oggetti o quant’altro, dentro un filo espositivo, più che profondo. Riorganizza cioè molti elementi con modalità diversa da quella cui la poesia ci ha finora abituato: non in profondità, ma in una direzione rigorosamente orizzontale, lungo un’asse che però non schiaccia differenze temporali e spaziali, non azzera asperità, gerarchie, valori. E’ in questo senso che la sua nuova profondità – se in tale termine vogliamo impropriamente racchiudere il significato di qualità alta di un testo - Lucetta la raggiunge proprio nei punti di narrazione in cui prende le distanze diciamo dal sentimento forte. Insomma, essa non necessita, a mio giudizio, di un pathos profondo, fatto da mille teste (allorché il pensiero concettuale mima quello mitico), per creare animo. Frisa, a mio avviso, con tale orizzontalità coglie meglio quel paradigma dell’esperienza e della comunicazione passato-contemporaneità che si potrebbe nominare con la parola Complessità. Per questo, tale emozione necessita di elementi decorativi, in senso alto, e di un’accuratezza che striderebbe, dato il tema trattato nel libro, con un taglio di pura fisicità che a primo avviso potrebbe erroneamente sembrare più pertinente.

Ora questo processo di scarnificazione prevede, come resa poetica, un’affilata percezione di sé. Mi viene in mente, leggendo le pagine appunto 33-37, la regia cinematografica di Antonioni che in un equilibrio asciutto sostiene il peso di quintali di esistenza, o altri film dove il colore persino danneggerebbe la compressione di passaggi emotivi ormai talmente assestati, che un’ immissione di coloratura sarebbe inutile. Non si può pensare di rendere più suggestivo il Gran Canyon con la presenza di echi.

Per dimostrare quanto dico, riporto la pag. 20, e oltre del poemetto poesia, dove si legge : (… ...) che giunga/ un nuovo disordine dall’aldilà/ una nuova tradizione di baccante e anacoreta/ -lezioni d’assoluto rimescolate in lingua animale/ (….) tutti i miei fantasmi folli che danzano/ brividi sussurri musiche/ tra orrori colori strofe incantesimi un’orgia/ e cassetti a brandelli. (…)

Sono parole senza dubbio forti, ma sembrano gridate sott’acqua, la loro potenza è solamente lessicale, di tradizione cioè. Non costruiscono (neanche per l’autrice che chiede alla poesia, e non so quanto convintamente, un modo diverso di scrittura: se così sembra che esista) un’alternativa in cui poter andare ad abitare, emozionalmente intendo, In poeti di minor levatura, si potrebbe parlare di equivoco di materia trattata, ma non è il caso di Frisa che “sbalza” in modo evidentemente necessario un tono di colore su un altro, per dar rilievo, io intendo, alla nitida tinta argento che è propriamente sua. Si può notare infatti la forza autentica e maggiore dei versi di Polvere, pagg.18-19.

La scarnificazione di cui parlavo, che niente ha a che vedere con un qualsiasi sentimento religioso (per lo meno dichiarato) qui genera ogni parola, con niente di disordinato o fuori equilibrio, pur entrando Frisa in quel sentimento o ricordo profondo che sta all’origine dell’intero libro. Scarnificazione non come “riduzione-dopo” , insisto, bensì quale forza del proprio essere che spolvera, toglie, cioè essenzializza, dentro la metafora e fuori da essa quel che neppure sembra efficace a un suo reale modus vivendi. Come dire, volente o no, ci dà l’idea di uno sforzo di azzerare, per quanto le sia possibile, il passato per giungere a qualcosa di assolutamente autonomo, in cui, aggiungo, la scrittura non supera mai la propria semantica. Pur raffigurando il senso della perdita e anche della piccolezza umana, i suoi versi assumono un’aura di bellezza che elimina l’estasi tout court del sentimento e sfiora la sintesi della ragione. Cioè spezza le due facce della stessa medaglia, perché spazza via il concetto di possibilità illimitata presente nella sovraesposizione di tanta poesia iconografica, estetizzante, quale ingenuo o calcolato godimento di tutte le possibilità dell’intelletto.

Mi piacerebbe approfondire la polvere frisiana, che non è certo il pulviscolo che si genera ovunque e dovunque su qualunque cosa. A me sembra l’espressione, tradotta in limiti umani, di sedimentazioni geologiche che all’autrice danno una sorta di conforto, quale forza interiore di anonimato e durata. Questo spiegherebbe l’affanno di toglierla di mezzo e, allo stesso modo, di “sentirla” scendere di notte a comprimere gli strati del suo canyon-casa e contro la quale lei non può che agirci dentro nell’atto di toglierla, inglobando ella stessa, per ingoiamento, un senso di tempo lunghissimo. Desiderio, insisto, di eternità e perdita di memoria personale. Giacché l’eternità non si attua che così, con un’immersione, in questo caso tellurica, per annegamento del tempo personale.

 

Un’isola


..............................................Ischia, luglio 2001.


La notte sbarcare sull’isola è prendersi le mani
per tenersi in equilibrio il porto dondola al buio
sotto le raffiche l’occhio acuto di Donatella la risata
di René le voci forti e nuove e l’ala di Mercurio
ci spinge avanti eccovi sani e salvi stasera non si vede niente
è tutto allagato non c’è luce attenti dove mettete i piedi.

Le terrazze si sporgono sul mare e la stanza
è una tana fresca
d’ora in poi tutto ci attende
siamo sospesi
in una cartolina da spedire a nessuno.

Entra nell’acqua come la prima volta
se sei giovane o vecchia non importa forse
certe cose possono ancora sorprenderti:
un gatto giallo sulla spiaggia e le sue fusa
i piedi di Marco che dormono seguendo il sole
gli orrori del castello Aragonese
le suore che contemplano i cadaveri
e un mare dionisiaco a strapiombo.
Vedo questo luogo per la prima volta
e sarà anche l’ultima. D’ora in poi
non c’è più tempo per ritornare.
Non c’è più tempo devo
isolare lo sguardo in un unico punto arrotolare
il lunghissimo filo che mi ha portato fin qui
in una veloce matassa
si confonde il film gli spezzoni le scene tagliate
le sequenze da riordinare o disperdere.
Qui su quest’isola nessun canto addormenta
la viaggiatrice che dormiva prima di raggiungerla
ora è tornata al mare
le narici sentono il sale
e lei ha fretta.

Siamo caduti fuori centro, amici,
per questa settimana di vacanza
o siamo per caso
al centro di noi stessi
pronti alla consunzione
e al naufragio.

Osserva il profilo del monte Epomeo
è lo stesso profilo all’alba
il profilo di tutto quanto abbiamo visto
se conoscere un luogo è essere quel luogo
e se il nostro senso di un luogo singolo
è quel che sappiamo dell’universo
dimenticare
è la nostra sapienza.

Improvviso l’angolo di una terrazza
il brusìo di voci e bicchieri
il vaso dipinto nel museo
il vecchio don Felìpe
le luci della pasticceria Calise:
quante nuove parole dovremo aggiungere
all’energia dei sogni?
Per la strada incontriamo i pìcari
le miserie girano dietro l’angolo
hanno pulito tutto con l’azzurro e la calce
eppure non recitiamo al Truman Show.

Non sai vedere la storia mentre cammina
ci vai insieme da sonnambula
per svegliarti quando è passata a un soffio da te
e chiacchierare dopo
della sua inafferrabile sostanza con ironia
e farne un fantasma da salotto.

Il mare
si riflette sopra e sotto
tanti specchi nella nostra stanza specchi
nella pasticceria
tra questi specchi il mio pensiero rimbalza
si è fatto piccolo e innocuo – un moscerino
che vola via dalla scena e lascia
un grande vuoto ustorio.

Il mare
intorno al mio corpo in festa
mi riconduce in un’altra isola
dove so che andrò a morire
perché da sempre ho abitato lì.

Qual’è il segreto? Mantenere il segreto?
E la bellezza è movimento o isola?
E la parola di che cosa parla?

Prendi il tuo corpo e làncialo lontano
pesce o alga o altra creatura marina
ti guardano mentre sai
di conquistare una salute difficile:
guarire o annegare.

Una scossa invisibile
che avvertono solo gli uccelli marini e i pesci
unisce la costa all’isola
e ai loro mutamenti.
Oh la bellezza
nessuna macchia
siamo belli e chiari anche noi
accecati da lei
che ci punge le pupille
con un bruscolo nero.

Abbiamo superato le notti
vegliandoci pelle a pelle
per non sparirci dagli occhi
tornando di giorno alla fermezza del mare
a patire il suo canto a non fare
né ombra né luce sulla spiaggia.

Per vedere la costa bisogna
prendere il largo e poi voltarsi in tempo
prima che l’isola fugga.
Per conoscere altre isole
viaggiamo tra i promontori
le visioni ruotano e una differenza c’è
se un orizzonte solo non ci basta.
Qualcuno ha ricordato Apollo
la sua testa sul mare che affiora
mascherata per parlare alla notte.
Se vedi Ischia nella tua stanza
mentre la scrivi ora
non è come tornare da lei non è
sentirsi più felici o rimpiangerla
è un’altra cosa ancora e ti sorprende, confèssalo.

In un certo attimo dicono che tra sera e notte
si vedano di colpo tutte le isole
tutti gli arcipelaghi e le sponde della terra
ma senza luci e velature
una massa informe dietro l’orizzonte
o davanti.


da Gioia piccola

[...]

(polvere)

Volevo scrivere un poema sulla polvere come un'immensa spolveratura
mi avrebbe lasciato più quieta forse un po' meno ansiosa ma quando
si parte dal grande non si raggiunge nulla neppure
una sillaba bisbigliata.
Cominciamo dall'inizio: io, la casa e la polvere - tutti i giorni.
Non ho mai capito se spolverare sia evocare
condurre ieri qui davanti a me come un immutabile cristallo
togliere via i miei secoli farmi dimenticata eternamente.
Sempre ho immaginato la polvere scendere di notte
sopra il naso dei mobili su tutta la pelle della casa scendere
al buio così non si può mandarla indietro.
Forse spolverare è un atto duplice come quando si nasce
e si comincia subito a svegliarsi o a dormire
secondo i punti di vista.
Anche la gatta lecca i suoi gattini appena nati.
Appena nati si comincia subito a fare pulizia
di grembi precedenti gusci vuoti minuti vecchi
e non si smette più di trafficare -
rallentando o accelerando
lo spolverìo.
Chi usa grandi armi per combattere
chi solo penna e stracci
sognando il deserto e il monastero
in un vento senza polvere.
Ma poi lei
non scende più
non soffoca
resta distesa lì –
.......noi e lei
.......si resta lì insieme.


(poesia)

Ti prego poesia
fratturami il quotidiano in polvere
fanne luce che io regni:
toccando l'aria qua e là
........sillabe consonanti
........metafore stregonerie
arrivano servi alati e
........tutto risplende
........casa e foglio e io
più non precipito
resto con te a fare giochi.
Aiutami
detergi lacrime
accarezza
fammi impazzire dolce.
Se la tua aria è nuova – se così sembra –
ai malati di sogni che non sanno muovere potenze
crollare dominazioni con le mani e immaginano
mondi e mondi di commozioni e giustizie
che giunga nelle ossa
come una tenerezza di natura.
Io ordino solo parole a parole
...........- tutto il mio arredamento –
nel disordine che esalta la tristezza ottusa
...........che giunga
un nuovo disordine dall'aldilà
una nuova tradizione di baccante e anacoreta
..........- lezioni d'assoluto rimescolate in lingua animale
carezzevole molto
per chi se ne va.
Devo spegnere o accendere per l'ultima volta
tutti i miei fantasmi folli che danzano
brividi sussurri musiche
tra orrori colori strofe incantesimi un'orgia
e cassetti a brandelli
Vieni via con noi lascia tutto
che questa poesia risusciti il non vissuto
e la cenere sui miei passi
sia solista e coro.
(Dove abito io?
Dove si posa la mia testa
e il mio scheletro ora dove va?)
Insegnami tutto daccapo.

[...]

dalla sezione Ritorno alla spiaggia


Spiaggia dell’Ariana

...........................Gaeta, settembre 2002


Dicono i mistici
che più siamo vuoti più ci rischiara la luce.
Sul morbido fondo del mare
il guizzo di piccoli pesci
muove solari triangoli
nell’acqua bassa.
Scatto una foto ai miei piedi e ai pesci
e alla mia ombra che entrerà nell’intreccio.
Essere vuoti
è il passaggio nella camera oscura?

Non so se questa pace me l’hai data tu o il tempo
oppure tu in accordo col tempo o il tempo con te
proprio come accade
in un’idea molto antica di armonia.

Non vogliamo leggere il cammino degli astri
ma i pensieri affacciati
sul fondocielo dei bicchieri.
Una folla infantile che saluta
prende il profilo sfatto delle nuvole
poche e bianchissime.
Sentiamo tutto lontano andato via
oggi, in un mezzogiorno di settembre
dentro un globo di vetro fermi
e fuori la neve cade sempre
o si alzano gli spruzzi delle onde.

La luce soffice del dormiveglia
è una penombra che ci sfuoca.
Si è cercato umilmente
il senso oscuro
seguendo sempre un’idea di luce.

Se è l’ultima pagina la leggeremo insieme
penso a uno dei quadri che ci piacciono
con luci di striscio, barocche, la lucerna
sui libri e pochi oggetti intorno.
Non abbiamo più fretta: tutto è qui.
Poco a poco ce ne siamo accorti
accostando sogni e matite
come sotto il banco a scuola
non delusi - non ancora troppo -
dalle nostre illusioni.

L’alluce proprio sul filo della schiuma
tocca il regno del mare, l’infinito è
proprio in quel punto d’alluce
che rabbrividisce si ritira indugia
entra.

L’anteprima dolce della morte
è il viaggio attraverso il sonno
di noi due distesi sulla sabbia
l’uno nelle braccia dell’altro.
Negli antichi sarcofagi gli sposi
stanno affrontando il nulla
tenendosi per mano.
Non è triste, anzi, ridendo
incrociamo carezze sulle braccia.

Sono tranquilla troppo tranquilla.
Vorrei due cuori identici
uno morto l’altro vivo
per affrontare il reale
con passione e indifferenza
parallele.

La luce apre il mare
lo richiude il buio
ed è lo stesso mare siamo
le stesse persone
più indifferenti o turbate
dai trucchi diurninotturni.

Nel controluce
ci guardiamo con gli occhi socchiusi
come per scattare una foto:
nessuno in giro
neppure il mare
vogliamo esserci solo noi
noi senza il pensiero della fotografia
(se la luce è alle spalle
se è la più densa del tramonto
se il tuo sorriso di adesso
è quello da ricordare.)

Chiudo le palpebre per entrare
in me improvvisamente notturna
non domandarmi dove sto andando
sono luoghi di troppo buio -
ma forse in qualcosa a metà
sollevato e laterale
come quando ci parliamo noi due
sentendoci stretti, vicini.

Per la prima volta ho sognato mia madre.
Aveva il prendisole bianco
le ho detto fai qualche passo
verso di me voglio fotografarti.
Nell’attimo dello scatto
tu mi hai svegliato.

Sulla spiaggia non leggi
nella borsa gli asciugamani
i libri chiusi le ciabatte ferme
le sigarette che non hai fumato:
dormi.
Infine ti sei concesso
solo a te e a quest’ora meridiana
senza démoni tremito e parole.
Nessuna terra in vista, nessuna nuvola o nave.


qui la biografia. 

23 commenti:

  1. è sempre difficile rompere il ghiaccio. Credo tuttavia che due parole sulla poetica di Lucetta Frisa, espressa con maestria da Cristina Annino, darebbero un contributo ulteriore alla presentazione di questa autrice.

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  2. Grazie infinite, caro Stefano,per queste parole. Ho ottenuto, e non solo in questa occasione, la conferma definitiva della tua stima nei confronti della mia poesia. Ne sono felice e grata.
    Di questo silenzio, mi dispiace solo per te e per Cristina ( forse abbiamo inflazionato il web con i nostri testi).
    Un caro saluto
    lucetta

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  3. E' una nota "splendida" (e non è un attributo, questo, messo lì a caso - penso alla radice etimologica del verbo, soprattutto), dove ogni parola illumina il senso complessivo del libro e, contemporaneamente, riflette l'attenzione acuta, profonda e amorevole, della lettura che l'ha generata.

    Penso, inoltre, che sia parimenti rintracciabile, sotto traccia, un abbozzo di discorso critico capace di rendere conto dell'intero percorso poetico di Lucetta. Me ne dà contezza, in modo particolare, la prima parte, mentre la chiusa, secondo me, è già tutta proiettata in quest'ottica, risolvendosi in una pro-posta ermeneutica che va ben al di là del (bellissimo) libro in esame.

    Una riflessione a margine.
    Penso non sia importante, di per sé, la "quantità" di commenti che un post finisce per cumulare. Per tutta una serie di ragioni che sarebbe lungo analizzare compiutamente. Ne rimarco qualcuna: 1) per il lettore "comune" di poesia, pur immaginandolo abituato alla frequentazione di buoni libri, non sempre è facile interagire, come in questo caso, con delle poetiche consolidate, tanto nel valore effettivo e incontestabile quanto nella considerazione critica; 2) ciò che fa testo davvero (e ne ho la riprova con moltissimi autori che pubblico sul mio blog), è il flusso incessante di lettori che, anche a distanza di tempo, ritornano a ondate su determinati testi: e ciò, per quanto mi riguarda, è segno tangibile del valore, in assoluto, della proposta; 3) i buoni testi "non" inflazionano mai! L'inflazione, e i relativi danni, sono figli del tracimare incontenibile (la rete ne sta diventando un ripetitore smisurato, abnorme!) dell'idiozia versicolare spacciata per poesia, e del dilettantismo becero che la nutre.

    Un caro saluto a tutti, e un grande abbraccio a Lucetta e Cristina.

    fm

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  4. quanto scrive Francesco Marotta, anche rispetto alla questione "commenti", lo condivido in pieno. Giusto dirlo specie a Cristina e Kucetta che non fequentano con assiduità la rete e soprattutto non hanno dimestichezza con questa arena che è, appunto, lo spazio dei commenti in genere.

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  5. Ciao, Stefano.

    Con questo post, hai pubblicato una vera "chicca". Al di là dell'indubbio valore critico-analitico, il testo di Cristina è una bellissima pagina di prosa, saggistica e non solo. E le liriche di Lucetta, poi, parlano da sole.

    fm

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  6. sono d’accordo sugli aspetti rilevati da Gugl circa la sorellanza poetica tra Frisa e Annino, e devo dire che ognuno dei tre punti indicati (la direzione orizzontale che non schiaccia, il senso della casa, l’eccedenza generativa dell'intelligenza) concorre a definire una poetica in cui mi trovo, devo dire, a mio agio. è pur vero che non è facilissimo addentrarsi in questo dialogo tra scritture, qui, poetica e critica, da parte del lettore semplice o di passaggio, anche quando il lettore si sente appunto partecipe di questo incontro (ciò, chiaramente, per il merito alto delle due dialoganti, anche io penso che questo post sia una chicca).

    aggiungo quindi solo una piccola nota, forse un po’ troppo particolare ma pazienza. leggendo il tema di memoria marina che percorre queste poesie di Lucetta Frisa (mi viene in mente: l’eterno come la vacanza), la regola analogica ha fatto scattare, e portato in superficie, una immagine da me conosciuta, che poi è un quadro proprio di Cristina, mi pare di ricordare un formato piuttosto piccolo, in cui compaiono due figure femminili in riva al mare, e che so essere una figurazione legata ad un ricordo personale di Cristina. questo non è molto importante ai fini della discussione, mi rendo conto, però rimanda in ogni caso a dinamiche che sono proprie di chi porta alla luce immagini dalla mente, le quali pescano da una memoria personale ma non appartengono esclusivamente ad una memoria soltanto (il “ricordo profondo”), così diventando condivisibili (proprio perché sottratte alla “possibilità illimitata”). condivisibili quindi sia da coloro che “esercitano” il talento autorale, sia da chi può divenire “autore di visioni da altre visioni”. che questo avvenga poi nella scrittura non per via di fascinazioni patetico-emotive ma per procedimento “puro” razionale, io lo trovo, come sempre, una grazia.

    un caro saluto

    erika c.

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  7. Mi danno una vera gioia le parole di Francesco e di Stefano, mi danno un gran sentimento e inoltre il piacere di aver presentato, nel mio piccolo, degnamente le poesie di Lucetta.
    Grazie! Cristina.

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  8. Grazie a te, Cristina.

    Erika, avercene di lettori del tuo calibro! La poesia sarebbe salva.

    Per chi scrive, poi, l'unico confronto vero, quello che aiuta a crescere, è proprio con personalità del genere.

    Un caro saluto a tutti.

    fm

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  9. Mi associo alle parole di Francesco su Erika, poetessa giovane della quale conosco lo spessore e sul valore della quale io punto per il futuro prossimo. Anzi,ci conto. Cristina.

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  10. (ringrazio moltissimo FM e Cristina per le loro parole, fin troppo lusinghiere, davvero.

    erika c.)

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  11. margherita eallaigamma28/11/09 23:37

    A rischio di risultare sia superficiale sia invadente ((qui rischio molto alto, perché tra la presentazione e le poesie si avverte una tale “corrispondenza” alta da sentirsi importuni e inopportuni), insomma a rischio, lascio la traccia minima del mio passaggio.

    avverto quella “direzione rigorosamente orizzontale” (C.Annino) ottenuta da piccole vibrazioni, come piccoli scostamenti nella sequenza di immagini (il “movimento” ottenuto da tanti impercettibili fermo-immagine), vibrazioni che sono anche di tempi verbali per es. (participio passato, presente, futuro semplice ecc..) sull'allungo dato dall'infinito
    vibrazioni come a sbattere sugli specchi “ustori” di quel “moscerino”, così che “Non sai vedere la storia mentre cammina”, eppure “ci vai insieme da sonnambula”,

    vibrazioni come le iridescenze della polvere osservata in controluce, fino a depositarsi ma ancora un poco lievitare

    vibrazioni come il “guizzo dei piccoli pesci” o il chiudere aprire l'obiettivo, rendere vuoto / pieno, per uno sviluppo diverso in chiaroscuro (“Essere vuoti /è il passaggio nella camera oscura?” che “La luce soffice del dormiveglia / è una penombra che ci sfuoca.”



    quasi appunto che l'essere vincolati lungo l'asse o la linea
    (e qui non è certo escluso un andamento circolare :), anzi il perimetro dell'isola, per es, rafforza in tale senso),
    dunque dicevo l'essere vincolati venga alleviato dal nostro darsi vibrante (“l’infinito è /proprio in quel punto d’alluce
    che rabbrividisce si ritira indugia”)
    in modo da avere possibile, se non la messa a fuoco completa, almeno una pur minima (e ontologicamente necessaria, almeno per consolare :)), visione esistenziale,
    una tensione pure,
    che d'altra parte: “senza luci e velature/una massa informe dietro l’orizzonte /o davanti.”

    ciao
    complimenti alle autrici.
    grazie a blanc per gli spazi

    RispondiElimina
  12. come dicevo a Cristina in privato, prima che tutta questa meraviglia si facesse avanti, i lettori del post ci sono e sono di altissima qualità, solo che hanno pudore ad intervenire, o soltanto vogliono meditare meglio quanto hanno letto.

    grazie dunque a tutti per gli interventi e ben ne vengano di nuovi. L'ultile, in quest'invito, va alla poetessa, che così ha modo di approfondire il proprio percorso, alla lettura criica di Cristina, che viene ultiriormente messa in risalto, ed è utile al pubblico di Blanc, che legge silenzioso e riflette.

    Ovviamente anche Blanc ne trae vantaggio, guadagnando in qualità e in stile.

    grazie ancoa.

    RispondiElimina
  13. Sì, Stefano, ne parlavamo. Credo che in questo caso l'eventuale commentatore avverta l'imbarazzo o la "complicazione" di dover parlare sia della mia nota critica sia delle poesie di Lucetta. Ma è una doppiezza solo apparente, in effetti. Solo le poesie di Frisa dovrebbero essere al centro di commenti,e proprio a tal fine io le ho presentate.
    Non trovi che questo possa essere un motivo? Data poi l'eccellenza dei commenti fatti e la generale eccellenza dei lettori del tuo blog? Cristina.

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  14. imparato molto

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  15. "Per vedere la costa bisogna
    prendere il largo e poi voltarsi in tempo
    prima che l'isola fugga"

    Per commentare queste poesie, ho avuto bisogno di leggerle, insieme alle note di Cristina Annino che le accompagnano, con la cura e l'attenzione che meritano (sia le poesie che le note). Tra le "categorie" indicate da Stefano in uno dei suoi commenti, mi metto nella seconda (ho bisogno di meditare quanto ho letto)... ma anche nella prima (ho un certo pudore ad intervenire, non tanto per timidezza ma perchè temo di dire delle stupidaggini).Doverosa premessa.

    Non sono in grado di fare critica poetica; quello che posso fare, da appassionata poco qualificata, è provare a spiegare le emozioni e i pensieri che questi testi hanno suscitato in me. Leggendo "un'isola", ho avuto anch'io l'impressione di essere di fronte a tanti fermo-immagine, ad un alternarsi di sequenze e di pensieri che si nutrono a vicenda. Come se dal film, improvvisamente interrotto (un po' come quando nei vecchi cinema di paese la pellicola si danneggiava, tutto si fermava e si riaccendevano le luci in sala...) arrivassero riflessioni, impressioni... poi i versi.
    E le riflessioni, i pensieri che ho trovato in questi versi, le avevo già, chissà dove, in testa. E' bello scoprire che qualcuno ha già scritto quello che, come una nebulosa, stava da qualche parte nella tua mente.
    Io mi sono sentita meglio, "più quieta forse un po' meno ansiosa". E' come se Lucetta Frisa avesse spolverato un poco un angolo di casa mia, e da lì io mi accingessi a ripartire, a riprendere il mio lavoro.E' successo in particolare con i versi
    "Sono tranquilla troppo tranquilla.
    Vorrei due cuori identici
    uno morto l'altro vivo
    per affrontare il reale
    con passione e indifferenza
    parallele".

    Li ho fatti miei

    Mi permetto infine di riprendere ciò che ha detto Francesco Marotta: la nota è "splendida" e le liriche di Lucetta Frisa parlano da sole.

    Un caro saluto a tutti
    Stefania C.

    RispondiElimina
  16. non posso fare a meno di dire a tutti voi lettori/lettrici di questi versi,a Cristina e a Stefano che con tanta cura e straordinaria intelligenza li hanno proposti, a Francesco le cui parole hanno il potere di farmi sempre rabbrividire per consonanza e non esagero)Erika C.,Margherita, Stefania C. e a chi si fima e a chi non si è firmato, che sono molto colpita dalle vostre impressioni, percezioni, sensibilità critiche, a loro generosamente dedicate.Commenti che mi fanno ulteriormente riflettere e approfondire la "conoscenza" non certo solo quella poetica. Dal discorso sulle vibrazioni marine che confermano quella "orizzontalità" individuata da Cristina, al fermo-immagine riscontrato in"Un'isola", ecc ecc.Sono ammirata dai vostri commenti,veramente.Ci tengo a sottolineare che il libro,nella sua interezza, tenderebbe a una circolarità- ma forse tutti i miei libri, devo dire, non è per me una novità, anzi, una forma di ossessione. E questa direzione o struttura circolare è stata percepita senza neppure leggerlo in senso orario.Nella prima parte le memorie (casa-madre-mare) di un vissuto reale si avviano verso la visione conclusiva di una "revenante" che, da morta,torna sulle tracce del suo passato. Mi riferisco a "Porta Rosa", testo ospitato tempo fa in "La dimora del tempo sospeso" di Marotta.
    Vi ringrazio davvero molto.
    lucetta frisa

    RispondiElimina
  17. carissima Lucetta grazie per il tuo intervento che dà un contributo ulteriore all'analisi.

    Ti presento Erika Crosara e Stefania Crozzoletti due poetesse giovani e molto interessanti.

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  18. Lode alla amiche sono due, sì!!che leggo riunite, e mi ri-unisco a loro, nessun passo di danza necessita di gelosie, anzi, perchè, come "una scossa invisibile",arriviamo a quegli approdi, difficili approdi, tanto che siamo a "guarire o annegare", il resto lo abbiamo trafugato fino a qui..Amo questo processo e progetto dell'andare per mare, con la poesia, sulla superficie, poiché il suo "profondo" è già stato. Anche la polvere ha un'aria materica e vitale, che mi piace molto, che voglio leggere(Si può farlo spedire da La Vita felice?), che è una specie di eredità, di poesia e di poetica, che Lucetta ci lascia. Brava Luci, che fai della bella poesia, lirica poiché narrante, che ci porti al di là del tempo, verso un bianco e nero, come scrive la mia cara Cristina. Due primavere, che ora apprezzo di più.
    Maria Pia Quintavalla

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  19. "il profondo è già stato": vero eppure ognuno se lo immagina diversamente. Ma invero: il profondo c'è o è una metafora per indicare il "non sapere", il "non potere", quel luogo dove non esiste proprietà (e che, appunto per ciò, non dobbiamo colonizzare ma nemmeno annientare)?

    un caro saluto a Maria Pia

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  20. Io credo che ogni "profondo" rappresenti le tante teste del nostro essere qui ed ora; si riproduca sempre in quanto origine della sapienza che ciascuno di noi ha di se stesso. Può nebulizzarsi in accumulo, può essere vivibile o invivibile, ma resta comunque, e per fortuna, qesta massa di straordinaria forza evolutiva. Ritengo che nessun artista rispettabile pensi a "suicidare" ciò per cui campa.
    Cristina.

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  21. mi pare un'ottima definizione di "profondo", che condivido. In questo modo la "superficie" non è apparenza falsa, bensì la sua propaggine visibile, come il nervo ottico lo è del cervello.

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  22. grazie ancora a Maria Pia, e dinuovo a Cristina e a Stefano anche per la presentazione di due brave poetesse-interlocutrici che non perderò di vista e desidererei conoscere meglio.
    Che cos'è il profondo è un tema vasto come il mare,appunto.Condivido il pensiero di Maria Pia e le "precisazioni" di Cristina.Il vissuto personale-di dolore e desiderio- a contatto con una dimensione trascendente(in senso mistico, tout court- quindi non appartenente a nessuna religione)e l'incessante movimento en avant. E'attributo del pathos(e viceversa)e della sua inesauribile fascinazione.La sua scia è ciò che resta di visibile, qui tra noi e nella nostra scittura, di questa sua complessità e del Desiderio sempre irrealizzato di possedere l'inafferabile presente.Nel misterioso presente non si sogna, ma su ciò che è passato e su ciò che sarà, si.
    lucetta

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  23. Ciao Lucetta e grazie per questo tratto di strada compiuto insieme.

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