mercoledì 1 ottobre 2008

Poesia italiana o cinese?


Quando ci chiediamo "che cos'è la poesia" poniamo la questione malamente. L'impostazione corretta potrebbe essere piuttosto: che cos'è la poesia nella cultura italiana? O "nella cultura europea" qualora si sia convinti che le radici del romanticismo e del simbolismo nutrano ancora oggi la poesia italiana. Cosa assai probabile, in effetti. Per capire che cosa intendo, riporto alcuni frammenti tratti dal saggio di Antonio Spadaro pubblicato da "La civiltà cattolica" (luglio 2008)

«Uno degli elementi fondamentali e costanti della letteratura ci­nese è quello descrittivo, che dà vita sia a prose sia a liriche di pae­saggio. La vista è interpellata e sollecitata continuamente. In al­cuni autori l'essere umano appare un piccolo punto dell'universo che vive dentro un paesaggio ampio; in altri è invece al centro di una scena, che attende da lui un senso. Ma a prevalere, special­mente in epoca T'ang, è il primo atteggiamento, per il quale la bellezza di un elemento della natura può prescindere da uno sguardo umano. La bellezza è colta in se stessa, per il suo intrin­seco valore, per il suo mistero: "La cavità del monte, con i suoi te­sori nascosti; il riflesso degli astri sull'acqua; la discesa di una bar­ca che asseconda la corrente; lo scorcio di un panorama incante­vole, tra la vegetazione lussureggiante e rigogliosa; il cambio del­le stagioni, incessante nella sua monotonia, eppure ogni anno sempre nuovo; il magico accordo del sole e della luna, pronti a darsi puntualmente il cambio; e molti altri. Ci si riferisce sempre a una grande rete, le cui maglie, strettamente unite, suggellano un'intesa equilibrata tra i fenomeni dell'universo" (L.V. Arena, introduzione a Poesia cinese dell'epoca T'ang, Rizzoli 1998, p.16).

[...]
«Spesso il significato si sprigiona dall'accostamento di due o più ideogrammi che si fondono insieme in una unità, e dalle immagini che essi sviluppano, lasciando campo aperto alla fantasia. Facciamo qualche esempio esplicativo di ideogrammi composti da due ele­menti differenti: cuore e autunno esprimono la malinconia, la tri­stezza; uomo e albero esprimono il riposo; uomo e parola comuni­cano fiducia e fedeltà. Al centro dell'ideogramma 'amore' trovia­mo il simbolo per il cuore racchiuso da quello del respiro, nella par­te superiore, e da quello del movimento aggraziato, nella parte in­feriore. Ciclo e terra uniti in un unico carattere significano l'uni­verso; il tamburo e la danza significano l'incoraggiamento; la lancia e lo scudo, la contraddizione. Si notano infine sintagmi che forma­no espressioni simboliche: la polvere rossa indica la vanità della gloria; le acque che scorrono verso est, la fuga del tempo; l'oca sel­vatica che vola verso ovest esprime la separazione e il rimpianto. Spesso, proprio accostando immagini ovvie, si genera un effetto inatteso, e le immagini devono luccicare / come perle nell'acqua, scri­ve Lu Ji. I sentimenti e le idee "scoccano" dalle cose, grazie al loro semplice apparire nel verso senza aggiunte sentimentali. Nella poesia cinese, dunque, è la visione che genera il senti­mento, non l'espressione verbale.

[...]
«Nella visione cinese dunque la «cosa» non è separata dall'«azione»: essa include il suo movimento, è un quadro fluido, dinamico. La maggior parte delle radici ideografiche conservano in sé un'idea verbale di azione. Non rappresentano una «cosa», ma la sua qualità vitale, il loro muoversi, qualcosa di attivo e pro­gressivo. I nomi nella loro radice sono verbi. Si potrebbe dire davvero che la 'parola' in cinese è sempre 'verbo': il nome è ciò che compie qualcosa. [...] L'occhio cinese vede e presenta nome e verbo come un tutt'uno: cose in moto, moto nelle cose. Se diciamo «l'albero è verde», la copula rende statica la realtà che indica. Spesso verbi intransitivi e la copula nelle lingue occidentali tendono a co­municare una sorta di "fermo immagine", di natura morta. Ciò è implicitamente inteso come falso da un cinese: la realtà non è mai statica. Egli semmai direbbe: l'albero si "inverdisce".

[...]
Questa caratteristica della lingua cinese fa riflettere più in ge­nerale sulla natura della parola poetica. Essa infatti appare chia­mata non a compiere il ritratto statico o astratto delle cose, ma a cogliere la loro intrinseca dinamicità. La poesia cinese aiuta il suo lettore a cogliere nella realtà le relazioni e i processi anche in ciò che appare statico a una prima veloce occhiata. È come se la poe­sia consistesse proprio in questo: cogliere il continuo divenire di ogni realtà, le sue tensioni vive, e farle vivere al suo lettore. La pa­rola diventa guizzante, come scrive Lu Ji: riportiamo parole vive, / come pesci presi all'amo / che balzano dal profondo»

25 commenti:

  1. interessante post, Stefano...credo di capire il senso di questa "provocazione" che sarà senz'altro condivisa da molti, anche da quelli che poi non sapranno adattarla alla loro realtà poetica. Per qualche ragione mi rammenta le parole che Borges mette in bocca ad Averroè, v. qui:
    http://ellisse.altervista.org/index.php?/archives/176-Jorge-Luis-Borges-Arte-poetica.html
    un caro saluto
    G.

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  2. Premetto che negli anni mi sono interessata di più alla cultura e poesia giapponese che alla cultura e poesia cinese.
    Essendo però il giapponese scritto, nato dal cinese scritto, a parte due tipi di scritture "elementari" ovvero la scrittura in hiragana e quella in katakana, rimane quindi la ricerca degli ideogrammi che avviene nella lingua cinese. Vi è quindi la stessa ritualità di tema semantico-parola-suono-immagine.
    La lingua cinese di per se è una continua ricerca. Tra suoni letteralmente in canto, e ideogrammi/ovvero raffigurazioni di "cose", si è di fronte ad un insieme di sensazioni che amplificano di certo la percezione. Se in italiano noi utilizziamo soprattutto l'udito/il suono per determinare una parola, in cinese vi è anche la raffigurazione di questo suono.
    Una delle prime lezioni di cultura cinese presenta come le prime scritture cinesi nascevano dai disegni sui gusci delle tartarughe, o il volo degli uccelli. Di per se, queste raffigurazioni erano sacre, parti di un rituale che prendeva forma in importanti eventi culturali e sociali. Quindi parte già il presupposto di scrittura=sacro. In una lingua occidentale questo non avviene. L'idea del sacro, ci mette di fronte già ad una lettura "poetica" e "sensibile" di ciò che viene scritto.
    Di certo per i cinesi, la scrittura, l'apprenderla e l'applicarla è una sorta di scommessa. Se ci si pensa, la ricerca del poeta italiano a confronto sembra una virgola dentro un intero iter poetico che un poeta cinese prosegue . I dati della lingua cinese sono estremamente maggiori ed estremamente vincolanti/stimolanti. A parte i dettagli quindi del verbo quindi, la ricerca della perfezione sta non solo nella parola stessa, ma come essa si raffigura e s'intona.
    La lingua cinese quindi è la ricerca della perfezione. Figuriamoci lo stimolo che un poeta ha nell'applicare e modellare una tale ricerca.
    AR

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  3. caro Giacomo, l'accostamento è appropriato. Riporto le ultimedue strofe di Borges: "Narran che Ulisse, stanco di prodigi,/
    pianse d'amore nello scorgere Itaca/ verde e umile. L'arte è anch'essa un'Itaca/di verde eternità, non di prodigi.// E' anche come il fiume interminabile/
    che passa e resta e riflette uno stesso/ Eraclito incostante, che è lo stesso/ e un altro, come il fiume interminabile.

    (e faccio natare il sottile gioco concettuale dell'ultima strofa, espresso nelle rime speculari)

    Cara Anila, la tua passione per il cinese si sente in pieno! Certo anche la lingua italiana (che ha una storia complessa, assai precedente alla triade trecentesca Dante Petrarca Boccaccio) s'intreccia con la liturgia cristiana, per inevitabile contaminazione e, dunque, mette in moto il sacro.

    io non direi che la poesia cinese sia più complessa (forse non non lo dici nemmneo tu). La lingua probabilmente sì, ma a noi occidentali è preclusa la porta analogica che la dischiara perché la nostra formazione causale, logica, ci impedisce l'immediatezza libera da connessioni necessarie.

    Volevo chiederti: sei d'accordo sul fatto che un poeta debba dialogare anzitutto con la propria tradizione (italiana, albanese, cinese eccetera) pur tenendo gli occhi puntati su quanto si scrive altrove?

    gugl

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  4. e rieccomi! :)
    davvero stimolante questo post! ed estremamente interessante quanto scrive Anila.

    senza blaterare tanto, pensando a tutto questo, mi viene spontanea una domanda: esiste realmente un modo che faccia entrare il Mondo tra le parole d'una poesia? esiste il modo di rendere anche un solo verso verepropriamente universale, se tanto diversi sono i simboli, gli accostamenti di tali?
    esiste la speranza di una poesia che non si riduca alla semplice espressione del proprio periodo storico e della propria cultura?

    un bacio!

    Patty!

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  5. E' vero che la lingua cinese è complessa ma io non intendevo ovviamente come grammatica-scrittura, intendevo più come interpretazione. Diciamo che è una lingua molto più profonda e ampia. Non per niente è una delle lingue più antiche ancora oggi parlate. Se si pensa a tutte le sue trasformazioni nel tempo, ci si passa una vita a parlarne.

    Il discorso sulla sacralità della lingua italiana, mi spiace ma non sono affatto d'accordo. Soprattutto quando parli di liturgia cristiana. Il fatto che l'italiano sia legato a tale liturgia non fa sì che l'italiano sia stato detto già in antichità sacro e sia quindi nato come scrittura sacra. Che poi questo sacro lo definisci come dovuto alla cristianità scusa ma mi viene un po' la pelle d'oca... o forse sono io ad aver capito male.
    Il cinese è una lingua che gli sciamani vedevano nei loro riti sciamanici, ritenuti sacri perchè come in tutti i popoli antichi (egizi compresi) gli sciamani erano coloro che potevano vedere oltre la realtà delle cose.
    Vi era proprio un rito sacro quindi intorno a questi eventi.
    Il fatto che agli occidentali sia preclusa la porta analogica, è solo un modo di dire di noi occidentali, che ignoriamo completamente le culture altrui, ritenendo la nostra migliore.
    La scrittura cinese mi spiace ma non è come l'italiano un insieme di suoni e basta, ma è una completa trasformazione delle idee, del pensiero in forma, letteralmente in forma.
    Io non vedo nella liturgia cristiana nulla di sacro.
    La sacralità della scrittura cinese va oltre la religione stessa.

    sulla domanda che mi poni invece. io non sono credo la persona adatta a cui fare questa domanda. io diciamo sono di due terre, non mi sento albanese quando scrivo come non mi sento italiana e basta. sì credo la mia scrittura sia prettamente italiana come radice, forma, in trasmissione e interpretazione. le mie radici albanesi non hanno marcato affatto la mia scrittura, l'impronta che essa ha preso. la radice italiana in passato era molto molto marcata; o almeno il tentativo era quello. io penso sempre che per riuscire a capire la scrittura contemporanea bisogna un po' trovarsi nella scrittura antica, alle radici. però se uno si ferma solo alla radice, difficilmente apprezza la poesia di oggi. bisogna quindi secondo me fare una cernita di quello che l'antico ci ha trasmesso, studiarlo e ristudiarlo, e poi andare oltre.
    tra di noi ci sono decisamente persone che un giorno verranno studiate, come noi abbiamo studiato omero e catullo. quindi il mio "augurio" è proprio quello di trasmettere nella poesia quello che noi oggi viviamo, senza dimenticare certo le radici. ma rafforzando ovviamente il sentire più "contaminato" di oggi.
    e quando parlo di "contaminazione" parlo appunto della scrittura contemporanea non solo italiana. se uno legge solo poesie di autori italiani tutta la vita, vuol dire che ha perso gran parte della bellezza antica e presente della poesia.
    se non avessi mai letto keats o baudelaire, credimi, non conoscerei nulla e proprio nulla di poesia.

    spero di aver risposto come volevi. di aver quindi capito la domanda.

    a presto
    Anila

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  6. volevo dire "non vedo NELLA SCRITTURA della liturgia cristiana nulla di sacro"...
    non voglio entrare nel merito di religioni insomma...
    tutto il discorso è riferito alla scrittura!

    Anila

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  7. cara Anila, la qustione del sacro non possiamo certo avvicinarla in un blog. comunque basta leggere Novalis per capire che è la funzione stessa del poeta ad avere una legame profondo con il sacro. Tu citi baudelaire: anche lui, in "corrispondenze", lascia ad intendere che la poesia sia legame con il sacro (vedi l'incipit).

    sul rapporto fra poesia italiana contemporanea e poesia religiosa ci sarebbe molto da dire, così come sulla parola in quanto liturgia (magari, come nel mio caso, in quanto "liturgia del finito"). Insomma, non solo le lingue orientali sono radicate nel mistero.

    Cara Patty, il problema che tu poni è straodinariamente profondo e credo debba essere un punto fermo di ogni poeta vero.

    dovresti vedere il significato della parola "storicismo" per capire quanto, questa questione, è stata dibattuta negli ultimi due secoli.

    io credo che tutte le poesie sopravvissute alle epoche siano la testimonianza che qualcosa, in loro, è transtemporale. E la sacralità ha a che fare anche con questo.

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  8. forse non ci siamo intesi.
    io parlo di scrittura in quanto modo di interpretazione della parola detta. la parola scritta in se.
    una parola scritta in una lingua occidentale è solo un insieme di segni identificanti suoni.
    un carattere cinese è simbolo di qualcosa di più grande. è questo che tento di spiegare.
    sono modi di scrivere completamente diversi.
    in tutte le lingue si scrivono cose sacre. ma non per questo una lingua è definita ed è nata come sacra.
    il cinese è nato come sacro e poi è entrato nella bocca di tutti.
    l'italiano o il latino è nato come lingua di tutti poi può pure aver preso un'impronta sacra.
    è questo che intendo.

    AR

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  9. ok adesso ho capito. nelle lingue alfabetiche il significante non ha relazione diretta con il referente. il cinese sì.

    domando, però: per dire "Donna" traccio un segno in cui la figura è leggermente piegata (e l'attraverso con una diagonale, se non erro). nel cinese antico questa figura era totalmente piegata. Si tratta di sacro o di ruolo sosiale subordinato della donna?

    un abbraccio!
    gugl

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  10. hehehe mi fa sorridere come la mente umana trasforma le cose a seconda della società in cui vive.
    il segno della donna 女 che non so se visualizzi è cambiato nel tempo semplicemente per un percorso di semplificazione del carattere. così raffigura un uomo con il petto sporgente (quindi per una donna il seno) e le due gambe..con le braccia aperte e la testa è un unico tratto...
    nulla di sottomesso :-)
    tra l'altro in antichità, soprattutto giapponese, ma forse anche cinese, la donna era sacra..perchè discendente diretta della dea madre..ma forse confondo con miti giapponesi ora quindi non prenderlo come oro questo ultimo punto :-)

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  11. d'accordo, mi arrendo :-)

    (facciamo che le scarpette strette le mettevano ai maschi?)

    gugl

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  12. beh a dire il vero le scarpette possibilmente le donne evitavano in cina perchè avevano i piedi fasciati e le ossa del dorso del piede si rompevano per tradizione. la donna col piedi piccolo, con le dita curvate completamente sotto e le unghie incarnite quindi nella pianta del piede, dubito riuscisse a tenere pure le scarpette...praticamente stava in piedi su pochi centimetri quadrati di piede..è come stare solo sulle gambe, piede tagliato o quasi...

    allucinante vero?
    le tradizioni a volte vanno oltre il pensiero possibile...
    e pensare che tutta questa sofferenza durava dai primi anni di vita e per cosa? per sembrare più bella e pure agli occhi degli uomini..sembra che gli uomini cinesi impazzissero per la delicatezza di camminata delle donne coi piedi fasciati..loro poverine semplicemente soffrivano ad ogni passo...
    come vedi, ad ogni riferimento che fai, c'è qualcosa che non conosci :-)

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  13. ah ovviamente del piede, si lasciava non fasciato sotto solo l'alluce...
    se non erro...

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  14. questa nostra lotta è assai avvincente, carissima, e sono sicuro che la vinceresti tu se ti lasciassi libera di usare tutte le armi che hai a disposizione, per cui mi faccio da parte e ti saluto con questi versi di Mao Tse-tung: "Nella luce incerta del crepuscolo si scorge un pino possente/ tollera paziente le nuvole che disordinate gli veleggiano intorno."

    gugl

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  15. se nel mondo ci fosse lotta "informativa" così, vivremmo tutti meglio... ma i media trasformano notizie e innescano nell'uomo tanta frustrazione a volte che uno finisce per uccidere, uccidersi e altre simili cose...
    questa settimana tutti i giorni in metro a leggere il giornale, mi sconvolgo per quanto il 90% delle notizie sia di guerre, omicidi, atti di vandalismo a terzi, discriminazioni e simili.
    è sconcertante.
    io ormai il telegiornale non lo guardo più per questo.
    finirò per leggere solo focus come unica rivista formativa del mondo.
    deprimente il mondo di oggi.

    degli scritti di Mao conosco poco. ma c'è tempo...

    ti ringrazio comunque per avermi avvisata di questo post.
    io tra il mio allevamento di gatti e lo studio ormai vivo poco... :-)

    a rileggerti
    Anila

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  16. grazie a te per le cose che hai scritto.

    sul mondo, meglio stare accorti, perchè qui si rischia grosso.

    bacio

    gugl

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  17. Scusa, Gugl, rubo apertamente le parole-pesce di Lu Ji. Mi servono.
    Le porto ai miei ragazzi.
    :)
    renata

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  18. finora ho letto poesia cinese solo in traduzione, senza nessun testo a fronte
    sono davvero contento di aver capito tante cose in più grazie a questo dibattito serrato e alla competenza di Anila

    però mi viene da aggiungere: caspita, certa poesia regge non solo il tempo, la storia, i mutamenti culturali e spirituali, regge anche... le traslazioni in lingue lontanissime!

    a un uomo se gli fanno una trasfusione con sangue di gruppo non compatibile, schiatta, la poesia no


    vi lascio un paio di suggestioni:

    l'italiano fino a prova contraria è discendente diretto di una scrittura che nasce sacra come il cinese: il latino scalpellato nelle pietre (lithos, litheratura) del tempio e delle tombe

    insomma, discutiamone... però la civiltà occidentale è frutto di quel grande trauma storico che inizia con la dissoluzione dell'impero dei latini e apre un Medioevo diametralmente opposto quanto alla sua evoluzione storica, guarda caso, al cosiddetto Medioevo cinese -
    le letterature e scritture occidentali sono una rapidissima speciazione dello scontro-fusione di due culture, che potremmo iconografare nella disseminazione di fonts gotici e roman fra enclaves feudali che maculano leopardescamente un territorio già di per sé condensante tratti geo-morfologici differenziati e frastagliatissimi

    aboliti, sono d'accordo, guidizi di merito a sfondo pericolosamente etnocentrico, credo sia una questione di equilibri fra guadagni e perdite: quanto la storia cinese ha guadagnato in continuità col passato e perso in "bio-diversità", tanto quella euroccidentale ha perso in profondità e guadagnato in pluralità e laicità

    (tutto ciò vale almeno fino all'epoca in cui, per dirla con un'analogia musicale, apparvero le scale esatonali e pentatonali in Debussy e una manciata di anni più tardi le 24 scale del sistema temperato nella musica scritta ed eseguita ad Hong Kong - da allora le carte si sono sparigliate e continuiamo a vivere nello sparigliamento - per cui inorridire della cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi cinesi così come dei rigurgiti nazionalisti delle pseudo-identità dell'Europa localista modellate globalmente sulle mito-reviviscenze dei Celti forse è il sintomo di un rifondarsi del sacro nella contemporaneità in modi che non riconosciamo, avendo infatti davanti agli occhi quelli di altre civiltà millenarie, ma che di fatto pratichiamo


    seconda suggestione:

    (la carta nasce in Cina!) scrivere è una Cerimonia nella tradizione cinese, avevo letto non ricordo dove: un'intera giornata trascorre per lo scriba in attività apparentemente insignificanti e ossessive, pulire con estrema cura i pennelli, miscelare inchiostro, lisciare la carta

    c'è una coscienza del supporto materiale della parola che si fisserà sulla pagina misconosciuta ormai dalla nostra cultura occidentale post-calligrafica

    mi è capitato di recente di iniziare a scrivere un "Discorsetto" su carta patinata a grammatura pesante in formato non standard, anziché sulla solita carta A4 uso mano opaca: non ce n'è, l'invenzione si muove verso regioni della costruzione metaforica diverse, condizionate dall'imprevedibilità di un supporto con cui non ho familiarità

    poi, poco prima del calar del sole, dopo dieci, dodici ore trascorse in apparente ozio, lo scriba cinese con rapidissimi e precisissimi gesti traccia sul foglio quanto si era prefissato di scrivere all'inizio della giornata

    Mario Bertasa

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  19. Mario, sei sempre fonte originale di riflessione. Grazie.

    il cinese che dici pratica il tao o il ch'an, evidentemente. quasi tutti i cinesi, ora, scrivono con la biro frasi assai mercantili. Come noi occidentali, del resto.

    Renata, pesca pure quello che vuoi da questo blog: i tuoi ragazzi lo meritano.

    gugl

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  20. Molto bella la riflessione di Mario Bertasa di cui leggo sempre qui e in giro degli scritti e col quale non ho mai avuto occasione di scambiare due chiacchiere.
    Sì la scrittura è un rito, non per nulla in cina e giappone vi sono pure dei corsi a scuola e all'università di calligrafia classica. Vi tutto un procedimento molto attendo e curato dovuto alla parola.
    L'altro giorno ho visto una mostra a Milano di Shinjo Ito: le opere del maestro buddista giapponese del XX secolo. Tra le opere vi erano appunto anche dei quadri in rilievo e non, di testi scritti.
    E' bello notare come la cura nel cominciare a scrivere con il pennello richieda più della scrittura stessa.
    Poi in Cina e Giappone sapete che esiste anche il timbro personale? Non esiste la firma, ma il timbro.
    E' affascinante notare come alla scrittura vengano riservate talmente tante attenzioni da creare quindi anche solo con essa, timbri, manifestazioni del proprio io, quadri addirittura.
    In italiano questo sarebbe impensabile.

    Però concordo con Bertasa quando parla di continuità della tradizione cinese e di diversità e moltitudine di contaminazioni nelle tradizioni occidentali.
    Non so però definire questo come un meglio o un peggio per la cultura cinese. Di certo le radici radicate (i sono poco tradizionalista, non vale nemmeno il mio pensiero) da secoli precludono solo un certo tipo di vita e rito sociale.
    In occidente la libertà di essere continuamente alla ricerca di qualcosa - vista altrove - è anche un modo per negare le proprie radici. E' vero per la mente umana questo è stimolante, ma per il popolo in se, è simbolo di poca nazionalità.
    E lo dice una che come lingua madre (anche se ormai è poco madre) ha l'albanese che è letteralmente un misculio di lingue europee e non. Se apro un vocabolario di albanese oggi mi trovo parole che non c'erano prima e che rimandano sicuramente a parole francesi, inglesi, spagnole, tedesche, greche, italiane, turche e altro. Se avviene questo è perchè non vi è una forza base nella volontà di trasmissione della lingua ai posteri.
    Quindi direi tanto di cappello ai cinesi che sono stati forti a tramandare la loro scrittura e la loro tradizione nei secoli.
    Tiguardo dopo cosa ho scritto e cosa ho tralasciato. Ora devo scappare.
    A presto
    Anila

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  21. ehmm errori a volontà ho fatto...vabbè inutile li elenchi sistemati...ho scritto in fretta che avevo l'appuntamento per la gatta dal veterinario...passatemeli :-)
    anila

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  22. la psia visiva italiana cerca di recuperare il valore simbolico, sacro, estetico eccetera del grafema. bisognerebbe dedicarle più attenzione, in questo senso.

    come sta la gatta? fa ancora le fusa? :-)

    gugl

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  23. ehmm.. la gatta mi odia oggi...l'ho portata a tosare! ed è incavolata con me :-)
    è una persiana ipertipica...incute pure un po' di timore :-)

    anila

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  24. hai perfettamente ragione Stefano sulla necessità di non trascurare il fenomeno della poesia visiva italiana

    che conosco poco

    accedere a fonti di comoda consultazione per farsene una panoramica ampia non è nemmeno così immediato, procurarsi le riviste e i rari cataloghi - saltano le classiche coordinate della diffusione libraria quando la parola diventa visione

    ma mi sembra che all'origine del fenomeno ci fossero attenzioni non tanto alla dimensione sacrale del grafema - anche se la contaminazione di artisti di origine orientale era ordinaria nei movimenti che promuovevano poesia visiva - ma piuttosto una contestazione sociale, culturale, politica a quel mondo di estrema cura nei confronti della qualità percettiva del grafema, che è il linguaggio pubblicitario e il design iconografico dei mass media

    però ripeto, ne so poco e forse mi sfuggono questioni che confermano la tua lettura

    Mario

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  25. in italia, ci sono anche altre "funzioni": vedi carlo belloli
    http://www.poesianet.it/materiali1.htm

    ciao
    gugl

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