venerdì 25 aprile 2008

Poesia e storia


Tradotto in esclusiva da Stefania Roncari, posto questa pagina di Philippe Lacoue-Labarthe, tratta da La poésie comme expérience (Christian Bougois editore, 2004) e ispirata dal "Meridiano" di Paul Celan. Credo sia il modo migliore per festeggiare il 25 aprile.


L’esistenza consiste solo nell’“essere sul modo dell’essente”? Questa domanda prima di tutto vale per l’uomo che solo, come dice Rousseau, ha “il sentimento dell’esistenza”. Ora questo “sentimento”, come il proposito di Celan permette di avvicinarlo, si regge su tre “poteri”: il poter-morire, il poter-accogliere (rapportarsi a), il poter-pensare (percepire), tutti e tre si assomigliano nel poter-parlare, con cui si attesta in generale che c’è la presenza, ma anche l’uomo, dichiarando che è (presente), dichiara chi è, cioè colui che esiste quale essere capace di attestare in generale la presenza e l’assenza. L’esistenza sarebbe così il linguaggio. [...] La facoltà del linguaggio – il poter-nominare – è in realtà l’intimità stessa, la differenziazione intima di questo essente che è l’uomo. Attraverso questa differenziazione l’uomo, oltre ciò che è, corrisponde all’essere, nominando ciò che è, nominandosi, nominando chi non c’è (Dio). [...] L’uomo non è il linguaggio, nel senso del possesso o della proprietà: “ il linguaggio è ciò che è proprio dell’uomo” , significa innanzitutto che l’uomo è costituito a partire dal linguaggio, di cui non è in alcun modo il padrone (il linguaggio, al contrario, lo spossessa stranamente, l’attira – a sé – fuori di sé). [...] Il linguaggio è l’essenza – inumana – dell’uomo, la sua (in)umanità. Il linguaggio può anche essere pensato come l’origine dell’uomo. Non solo come Dio stesso, secondo lo schema onto-teologico esposto all’inizio del quarto Vangelo, ma come ciò attraverso cui l’uomo è necessariamente rapportato all’altro, dunque ad ogni altro, così che Dio non è il linguaggio, ma la supposizione del linguaggio, o almeno ciò che lo magnetizza irresistibilmente. Forse è ciò che abbiamo chiamato Anima. A condizione però di non sentire nulla, in questa parola, che rilevi una qualsiasi sostanza, un qualsiasi soggetto. L’intimità, nella sua différance stessa, è in disparte da ogni soggetto. Non è altro che l’aperto del soggetto. Il linguaggio è questa apertura. E’ l’interior intimo meo che l’onto-teologia confondeva con Dio. Da lì potrebbe forse venire questo: quando la poesia realizza il proprio compito, che è quello di sforzarsi verso l’origine del linguaggio, ed è un compito per definizione impossibile; quando la poesia si accanisce a “scavare” fino alla possibilità del linguaggio, ciò che incontra è, sull’orlo dell’aperto inaccessibile e sempre nascosto, la nuda-possibilità di rivolgersi. E da lì potrebbe ancora venire questo: se Dio esiste, esiste come un essere parlante – sottomesso egli stesso di conseguenza al linguaggio. Che faccia oggi silenzio, che si sia taciuto, ci libera forse dall’irresistibile attrazione che egli opera nel linguaggio (ci libera dalla preghiera). Si potrebbe allora scorgere un’altra poesia, ciò che forse Celan ha finito con lo scorgere e che lo ha ridotto alla disperazione".

14 commenti:

  1. è un articolo che fa pensare, anche preoccupare, il silenzio e la disperazione "dialogano" molto spesso tra loro ma quanto lo facciano con dio non so, probabilmente niente, il dialogo con dio è sempre di speranza

    poi rileggo e spero in altri alti commenti per comprendere meglio

    abbracci

    RispondiElimina
  2. probabilmente dio si dice in molti modi ed ha differenti consistenze.

    abbracci a te
    gugl

    RispondiElimina
  3. Grazie Stefano per questo post.
    Per consentirci di riflettere e soffermarci ancora una volta sul linguaggio, sulla poesia. Su ciò che noi siamo in rapporto al linguaggio.
    Silvia ( Comoglio)

    RispondiElimina
  4. grazie a te per l'attenzione.

    gugl

    RispondiElimina
  5. riflessione molto intensa, grazie Stefano, lascia dentro tante risonanze

    ne colgo una... Un piccolo uomo occhialuto, incarcerato con l'accusa di aver cospirato per attentare alla vita di Hitler: un giorno il suo nome viene cancellato dalla lista dei condannati a morte per i quali si prega nelle chiese tedesche. Dietrich Bonhoeffer. Ha sostenuto tesi poco "correct"... In quel carcere egli medita su un Dio non onnipotente, debole, fragile come le parole che ha lasciato all'uomo. Verrà giustiziato prima di poter conoscere ciò che aveva solo presagito nei destini di una politica contro cui aveva lottato, ipotizzando la giustificazione etica del tirannicidio. Nell'abbracciare un Dio debole, si è visto risparmiare il fiele della tentazione che ha attanagliato i sopravvissuti: "Dio non c'era".

    Mario

    RispondiElimina
  6. caro Mario, potremmo vivere senza l'idea dell'assoluto?

    gugl

    RispondiElimina
  7. caro Stefano, così come il bisogno di assoluto è forte, lo sfruttamento e la manipolazione di questo bisogno sono altrettanto tremendi

    Mario

    RispondiElimina
  8. dire che il bisogno di sfruttamento è assoluto.

    gugl

    RispondiElimina
  9. Philippe Labarthe (e Stefania a cui dico grazie per la splendida traduzione) invita a ripartire da Celan. Prima, però, leggendo, riflettevo su quello schema onto-teologico del vangelo di Giovanni, a cui fa riferimento Labarthe, e che permea tutta la cultura occidentale fino a... al silenzio di Dio del sentire contemporaneo. Non voglio addentrarmi nell’aspetto teologico della questione, ma solo condividere ciò che mi disse una volta un rabbino e che lasciò su di me una grande impressione. Secondo una scuola rabbinica, le prime parole della Bibbia – quelle che comunemente conosciamo come “In principio”, sono interpretabili come “Dio canta”. Riprendendo Labarthe, diremmo allora che se Dio esiste, esiste come colui che canta, colui che arcanamente canta.
    Si aprirebbero allora importanti implicazioni che andrebbero a ricadere anche sulle parole di Giovanni, “così che Dio non è il linguaggio”– ci dice Labarthe. Piuttosto trascende il linguaggio nel respiro, nel ritmo, nel silenzio del canto e soprattutto nella spinta da sé verso (verso chi? verso l’Altro? – quale Altro?), spinta di energia – che fa perno sull’intimo, fisicamente interno, di colui che canta – e senza la quale non è dato il canto. Questo impulso del respiro verso potremmo chiamarlo con Celan la “svolta del respiro”. Il canto appare allora come l’apertura di cui ci parla Labarthe, l’apertura che prima di tutto accoglie il “potere”, fra i tre “poteri del sentimento”, più impossibile e insostenibile per l’uomo (e il logos): il “poter morire”. Il canto accoglie il tacersi. Il silenzio. Quel silenzio, pausa del respiro, che nel canto è canto. Il nulla che è.
    Così il canto arcano (di Dio, ma dico anche del poeta) si affranca dal Dio onto-teologico della preghiera, proiettato com’è in uno spazio aperto e vuoto, dove è anche oscurità e ammutolire. Ci dice Celan “Il poema cerca, credo, anche questo luogo”.
    Elena

    RispondiElimina
  10. Grazie Elena per la profonda riflessione..come dice Celan: "La poesia, Signore e Signori: questa parola d'infinito, parola della morte vana e dell'unico Niente." "..ecco forse il morire, quel qualcosa che cresce con invincibile durezza nel cuore del morire, il testimone senza testimone al quale Celan ha dato una voce.." (Maurice Blanchot)
    Stefania R.

    RispondiElimina
  11. "in principio" (Bereshit, in ebraico) è letto dalla mistica ebraica come canto del silenzio o, meglio ancora, come l'assente che lascia essere il suo canto creaturale.
    dunque, in questa prospettiva, Dio esiste nella forma dell'assente che chiama alla creazione. Il vivente risponde a questa chiamata, che si sostanzia nel lasciare essere in esilio la creatura che, rispondendo, crea.

    grazie Elena per le tue intelligenti riflessioni.
    E grazie Stefania per la dotta citazione.

    gugl

    RispondiElimina
  12. se vi va, vi invito a leggere questo mio scritto
    http://www.nazioneindiana.com/2008/03/03/variazioni-meridiano-4-stefano-guglielmin/

    gugl

    RispondiElimina
  13. "...con le voci fradice di notte, voci che si fanno sentire quando non c'è più voce, solo un brusio tardivo che le ore non riconoscono, offerto come dono al pensiero." (P.Celan) A Stefano: oracolare e ispirata la tua variante del 'Meridiano' di Celan, grazie per questo dono! "Guardati attorno:
    osserva come in giro tutto diventa vivo-
    Nella morte!Vivo!
    Dice la verità, chi parla di ombra." (P.Celan)
    Stefania R.

    RispondiElimina
  14. grazie Stefania

    gugl

    RispondiElimina