martedì 18 marzo 2008

Sul feudalesimo tibetano


Mi si chiede di specificare meglio perché, nel post precedente, ho parlato di "feudalesimo lamaista". A tal proposito, visto che in rete non ho trovato informazioni adeguate, riporto una pagina tratta da Segreto Tibet, di Fosco Maraini. A detta dell'autore, questa organizzazione politico-economica sopravvisse sino al 1959.


"Non bisogna di­menticare che nel Tibet solo un deci­mo della popolazione (percentuale già altissi­ma) è legata professionalmente alle varie chiese; e che, se il Dalai Lama è capo dello stato e del governo, se il Panchen Lama ed i trul-ku («Corpi fantasma») hanno voce in ogni decisione di qualche importanza, anche i laici occupano posti di grande conseguenza nella condotta degli affari pubblici.
Al Dalai Lama fanno capo tanto gli affari ecclesiastici che quelli civili. Immediatamen­te sotto di lui stanno infatti i due principali organi di governo, da una parte il Concilio Ecclesiastico (Yik-tsang) di quattro membri del clero, dall'altra il Consiglio dei Ministri (Kashag) di quattro membri detti Sha-pe, tre laici ed uno religioso. Fra il Dalai ed i due consigli fanno da intermediari, per quello re­ligioso (Ytk-tsang) un Primo Ministro Eccle­siastico (Cbikyap Chempó), per quello civile (Kashag un Primo Ministro di stato (Lón-chen); queste due figure però sono meno im­portanti di quanto potrebbe sembrare; la ve­ra sede del potere è nei due consigli. I Mini­stri (Sha-pe) del Consiglio laico (Kashag) non hanno portafogli distinti, esercitano un con­trollo generale su tutti gli affari politici, giudiziari e fiscali del Tibet. Recentemente è stato creato un Ministero degli Esteri, retto dal Chigye Lòn-chen, ma pare abbia funzioni soltanto consultive. La politica estera è stata sempre condotta direttamente dal Dalai La­ma o dal Reggente.
Esiste infine un'Assemblea Nazionale (Tsong-du) che si raduna solo in casi gravi od importanti; ne fanno parte una cinquantina di personaggi fra i più influenti di Lhasa. [...]La cen­tralizzazione del potere è dunque fortissima.
Nelle province il governo è rappresentato da cinque Chikyap; U-Tsang (Lhasa e Shigat-se), Gartok (Tibet occidentale), Kham (Chamdo, Tibet orientale), Chang (Nagchu-ka, Tibet del nord), Lhoka (Lho-dzong, Ti­bet del sud). Dai Chikyap dipendono poi tut­ti gli Dzong-pòn («capitani di fortezza»). Le funzioni dello Dzong-pòn sono, da una parte, quella di mantenere l'ordine, dall'altra, quel­la di versare all'erario, per lo più in generi di natura, il gettito fisso delle tasse locali. Gli Dzong-pòn hanno grande indipendenza; non solo, ma tutto ciò che riescono ad incamera­re oltre il limite fissato dal governo per le tasse, è loro proprietà personale. Per questo i posti vacanti vengono ceduti all'asta! Ri­cordo ancora che i funzionari tibetani nei posti importanti, lontani da Lhasa, sono sempre due, in modo che uno sorvegli l'altro.
Oltre i monaci, la classe più importante nel Tibet è quella dei proprietari terrieri (gyerpa), i quali costituiscono la nobiltà, pic­cola e grande. E molto interessante notare che, in teoria, il loro possesso della terra non è assoluto; prima condizione da rispettarsi è questa, che la famiglia fornisca regolarmente uno o più dei suoi membri al servizio gover­nativo. Il giovane nobile segue per alcuni an­ni l'apposita scuola a Lhasa, dove completa la propria istruzione, poi viene ammesso in uno dei «ministeri»; se ha qualità necessarie potrà salire rapidamente dal settimo grado, con cui principia il suo servizio, ai gradi più alti (De-pòn, Sha-pe, Chikyap, ecc.). Nella storia tibetana si ha un solo caso di laico che sia divenuto per breve periodo Reggente. Se un ragazzo appartenente alle classi più umili (contadini, artigiani) desidera farsi strada nel mondo ha sempre aperte le vie della chiesa; entra in un monastero e, se si fa notare e benvolere, verrà inviato ad una scuola spe­ciale per funzionari ecclesiastici in Lhasa. I funzionari di governo (eccetto gli Dzong-pòn) ricevono una piccola paga annuale (che può andare dalle 100.000 alle 150.000 lire), per il resto si suppone che provveda la famiglia, o che il funzionario stesso integri accettando doni e mance, normalissimi, anzi d'obbligo, nel costume degli affari tibetani.
La nobiltà più importante del Tibet è co­stituita da un numero limitato di famiglie. Un nucleo chiuso ed antico è quello dei di­scendenti dai re del Tibet (VI-Vili secolo); a questo gruppo appartengono i Lhagyari, i Rakashar ed alcuni altri, i cui capi hanno di­ritto ad onori non solo civili ma religiosi. Poi vi sono le famiglie fondate da uomini di umi­li origini che resero, in vari periodi, grandi servizi allo Stato e che ricevettero come compenso terre, nome e rango; alcune sono Un terzo gruppo di famiglie nobili è co­stituito dai discendenti di famigliari del Da­lai Lama. I Podrang, per esempio, discendo­no dal fratello del settimo Dalai Lama (1708-1758), i Pùnkang, dal fratello del decimo (1819-1837); i Lhalu (una delle famiglie più influenti) dall'unione di due ceppi, uno di­scendente dalla casa dell'ottavo, l'altro da quella del dodicesimo Dalai. Un'unica fami­glia per ora, quella di Pangda-tsang, ha rice­vuto i privilegi dei gyerpa in seguito all'im­portanza che aveva assunto nei commerci. Oggi i Pangda-tsang sono, si può ben dire, i banchieri del Tibet; la recente Missione Economica tibetana negli Stati Uniti (1948) è stata un'iniziativa di Pangda-tsang; nelle loro mani sta, per gran parte, la lucrosa esportazione della lana".


La conclusione è chiara: "La vita tibetana nel suo insieme ci offre un quadro tipicamente medievale. Prima di tutto: prevalenza della chiesa e della nobiltà. Poi fondamenti economici: l'agricoltura e la pastorizia, qualche attività commerciale, l'artigianato. Del medioevo europeo nei suoi mo­delli più perfetti (Borgogna, Francia) vi sono il colore e le incredibili superstizioni, ma vi sono anche la fede, la visione dell'universo co­me un vastissimo dramma in cui atti terreni si alternano ad atti celesti, in cui esiste una gerarchia che sale, sale, si accentra in un uo­mo, passa all'invisibile, alla metafisica, come un grande albero solenne con le sue radici fra le pietre e le fronde perdute nell'azzurro; e vi sono le feste, le cerimonie, lo sporco, i gioielli, i cantastorie ed i supplizi, i tornei e le cavalcate, le principesse e i pellegrini, i briganti e gli eremiti, i signori ed i lebbro­si, le rinunce, le ubriacature, i maghi, i me­nestrelli, i profeti.

27 commenti:

  1. Ciò non toglie il fatto, commenta infine Maraini, "che i tibetani mi sono parsi un popolo - per quanto si possa esserlo su questa misera terra - veramente felice"

    gugl

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  2. Indipendentemente da come un popolo è organizzato, il popolo è quello. Chi dall'esterno arriva a portare la sua cultura o la sua "rivoluzione" compie un atto arbitrario.
    La strenua difesa che i tibetani fanno della loro "ontologia" assomiglia a quelle di altri popoli, quella di un kosovo ad esempio, o quella di una cecenia, quella dei paesi baschi o quella, solo adesso semi-integrata, dell'irlanda cattolica, etc.
    Non possiamo non mettere in rilievo quest'aspetto, al di là degli ideali di "civiltà" del paese dominante, e se sono d'accordo con te sul non demonizzare la Cina (mi è parso che tu tendessi a questo) come tutti stan facendo, non metterei in secondo piano il fine che non giustifica più i mezzi dell'attuale senso comune democratico (e benvenga).
    Quindi benissimo parlarne e che i Tibetani facciano il caso loro, se non abusano dei più fondanti diritti umani. Mentre i Cinesi al potere sarebbero tenuti a rispettarli,perché li conosciamo ormai, sappiamo che cos'è che da una vita non fanno nel loro ambito proprio ( insindacalizzazione, aborto indotto, pena di morte, selezione delle bambine etc,) e che permette al capitalismo mondiale di utilizzarli come merce umana, perché il Gran Dragone resti il grande impero degli avi.
    Alla faccia di Mao.

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  3. non difendo la cina, assolutamente.
    volevo solo togliere l'idealizzazione intorno all'ex stato tibetano. A sentire in giro, il tibet era un paradiso, tuitto compoassione. La politica non consente questo. Difendo invece la cultura buddhista e anche quella dell'antica cina, in particolare il taoismo. Disprezzo le culture prevaricanti, quelle che amano il pieno, la presenza fondante, le belle parole.

    ciao Silvia, sie sempre la benvenuta.

    gugl

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  4. una cosa che mi fa veramente imbestialire
    è il fatto che i popoli oppressi per avere riconosciuti
    i propri diritti, siano sempre costretti a veicolarsi a grandi eventi (nel caso specifico le olimpiadi), per poter ricevere la giusta attenzione da parte degli altri paesi ...quelli che si riconosco poi nell'onu...
    ecco... questa la trovo una grande ipocrisia

    zyad

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  5. sì, sono d'accordo (e speriamo che questi diritti siano davvero riconosciuti).

    rimane la vergogna dei nostri cari liberali, che non hanno ricevuto il Dalai Lama nel suo viaggio europeo.

    gugl

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  6. Non ho nemmeno salutato, nella foga...alle due del mattino gira così. Lo faccio adesso.
    E non ti ho nemmeno detto, Guglielmo, come abbia comunque apprezzato l'accuratezza dei dati che esponi. So che al bosco dei poeti avete incontrato una delegazione del Tibet: vengono anche da questi contatti le tue conoscenze?

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  7. vengono da tanti luoghi: negli anni ottanta ho meditato tutti i giorni (non era zazen, ma M.T.) poi ho fatto Chi Kung, karate, letto molto, parlato e, un poco, visitato. quattro anni fa il Buthan e il Sikkim.

    l'idea che i monaci siano illuminati è un retaggio sessantottino: suggetivo, ma non vero. Certo qualcuno ha davvero qualcosa da insegnarci. altri sono come i nostri don abbondi.

    al bosco dei poeti è stato un poco strano vedere danzare dei monaci lamaisti, con tutto il loro carico rituale. Decontestualizzato, perdeva di forza. Poi io credo che il rito sia la degenerazione dell'illuminazione buddista, la sua versione popolare, direi: politica (e dunque di controllo).
    Ma ciò vale anche per l'induismo.

    gugl

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  8. qual'è allora, secondo te,
    la vera essenza dell'illuminazione buddista?

    :)

    zyad

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  9. non c'è essenza e nemmeno segreto. c'è risveglio, come dice la parola "buddità"

    gugl

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  10. più che altro quindi una fonte di rinvigorimento spirituale esclusivamente personale quindi

    è difficile...direi impossibile oramai,alla luce di tutto e di tutti gli eventi della storia,poter sperare di avere ancora un ruolo, in un mondo sempre più condizionato dai rapporti di forza delle superpotenze...

    leggevo su repubblica l'articolo di sofri... e la lettura,
    anche come chiave di lettura degli eventi di lhasa, dell'ultimo libro di
    giovanni arrighi "adam smith a pechino. genealogie del 21° secolo" feltrinelli

    :) ciao e grazie di tutto
    zyad

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  11. "personale" è una parola che sta stretta al buddhismo.

    grazie a te e buone letture

    gugl

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  12. personale nel senso...
    che solo a livello individuale
    un credo, può mantenere una sua valenza spirituale
    ogni volta che assume fisionomie
    differenti
    diventa a mio avviso un sistema
    di potere

    e visto che non esistono poteri buoni...

    zyad

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  13. l'argomento è complesso. chissà che si abbia l'occasione di parlarne davanti un buon piatto, da qualche parte.

    un caro saluto
    gugl

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  14. no...
    ti prego
    non mi parlare di piatti
    :)

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  15. io prima di parlare di "tibet=bene" e "cina=male" e il contrario, mi informerei di più. la storia tibetana non vale meno di quella cinese e viceversa. i valori tibetani e i valori cinesi nemmeno. ciò che si trova in internet non sempre dice il vero - dipende sempre dai punti di vista. non metterei in mezzo il dalai lama dietro la mano di tibetani che di certo non amano i cinesi a prescindere e quindi si permettono di rompere vetrine e negozi cinesi: ovvio che poi la cina reagisce. il modo, si sa, dopo anni di "conflitti" è quello è che. non metterei però i tibetani sul piedistallo per questo.
    di certo il dalai lama si vergogna dei suoi conterranei tibetani.

    non ho capito perchè il papa non abbia ricevuto il dalai lama. non capisco tutti questi "inciuci" che non permettono di parlare di cose serie ogni tanto. invece di preoccuparsi sempre di ovuli e cose che alla chiesa sinceramente credo non debbano proprio competere. la fede deve essere staccata da ogni discorso che riguarda i "capi" della fede.
    ed è inutile anche parlare di poteri buoni e cattivi.
    spero proprio che le olimpiadi ad agosto si facciano in cina...e come! la gente deve capire...
    leggere online non basta...

    buona pasqua Stefano! scusa se ho detto queste cose ma ormai si leggono ovunque petizioni, mail, messaggi e tutto sul tibet... e fa rabbia quanta poca informazione ci sia in giro...non bisogna identificare il tibet con il dalai lama e viceversa...
    e non difendo di certo la cina...
    anzi, mi astengo da ogni giudizio a riguardo... dico solo che bisogna sapere prima di parlare...

    saluti,

    Anila

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  16. non è questione a mio avviso di mettere sul piedistallo i tibetani
    sul piedistallo dovrebbero stare i diritti dei popoli
    di tutti i popoli a prescidendere

    il tibet fu occupato militarmente dalla cina...e ribadisco militarmente, nel 1950.
    basta per far salire la rabbia di un popolo
    di certo non si possono paragonare le vetrine di lhasa
    con le centinaia di morti degli ultimi giorni ad opera della polizia cinese
    e sinceramente non capisco cosa ci sia da capire se parlano i fatti
    storici ed odierni

    sul papa hai ragione anila
    è troppo impegnato nella campagna elettorale
    ed agisce come tutti i poteri
    forti
    badando esclusivamente ad i propri interessi

    zyad

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  17. Anila, infatti io non metto sul piedistallo i tibetani (e nemmeno li detronizzo). Prova a leggere bene il post. Il Dalai Lama non credo si vergogni. Semplicemente dice quello che pensa: un buddista cerca di portarsi sulle spalle ciò che le spalle riescono a partare. non un granello di polvere in più.
    le dimissioni cui allude sono un gesto politico, non uno sgravio etico-religioso. Egli parla dunque come capo di stato, che non si riconosce in ciò che sta accadendo e che denuncia il genocidio culturale (che non è costituito solo dal buddhismo).

    buona pasqua a te e agli altri viandanti del dharma :-)

    gugl

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  18. purtroppo zyad sono state proprio quelle vetrine a fare partire il tutto questa volta.
    i tibetani saranno pure "felici" ma non sono un popolo così pacifico come si pensa. non si deve mischiare il buddhismo col popolo - i lama sono avidi come tutti gli uomini del mondo; pensano infatti ad ingrassarsi di ricchezza piuttosto che aprire una scuola per bambine (per esempio); ma di certo la cina non agisce meglio da questo punto di vista.

    io spero solo non ci si metta lo zampino gente e stati che non c'entrano nulla... la cina in fondo è quasi 1/3 della popolazione del mondo...e non è poco...

    comunque stefano non ho accusato nessuno di aver messo piedistalli, infatti mi sono scusata... era riferito a tante cose che leggo in giro...

    di nuovo, saluti. vi lascio con un sorriso,
    Anila

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  19. nessun popolo è uno stinco di santo
    ma questo non significa niente

    diceva bene silvia
    "Indipendentemente da come un popolo è organizzato, il popolo è quello. Chi dall'esterno arriva a portare la sua cultura o la sua "rivoluzione" compie un atto arbitrario.
    La strenua difesa che i tibetani fanno della loro "ontologia" assomiglia a quelle di altri popoli..."


    io penso che a partire dal 1950
    la repressione
    delle tradizioni tibetane
    da parte dei cinesi non è una cosa giusta
    più o meno la stessa vicenda dei coloni israeliani nei territori palestinesi
    c'è stata in tibet una programmata cancellazione delle etnie locali
    con l'insediamento di un sempre maggiore numero di cinesi in tibet
    ...ad oggi la capitale lhasa è a maggioranza cinese...

    non dimentichiamo poi, che inizialmente la protesta
    era pacifica e dei soli monaci buddisti ...ed ha sortito scarso effetto, mi sembra ovvio che la popolazione si esasperi


    poi non credo siano i numeri a spaventare i paesi occidentali
    semmai, saranno i forti interressi economici e di mercato con la cina
    a detronizzare qualsiasi presa di posizione
    e questo ancora di più danneggia la credibilita della comunità internazionale stessa.

    un saluto a tutti voi

    zyad

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  20. capisco le tue obiezioni, Anila.
    e capisco quelle di Zyad.

    un sorriso pasquale anche da parte mia.

    gugl

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  21. sentivo giusto adesso dal telegiornale
    via crucis del papa a roma
    una ragazzo cinese porterà la croce
    ( o una ragazza? )

    ecco... queste io le trovo
    inquietanti coincidenze

    .

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  22. non son coincidenze, ma credo che sia inutile vederci del marcio. sono semplici opportunità politiche: il papa non può permettersi di mettere in difficoltà i cattolici cinesi che vivono in cina.

    gugl

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  23. è vero...
    allora poteva scegliere un eschimese

    :)

    zyad

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  24. Interrogato sulla questione politica economica della Cina e sugli ultimi avvenimenti il cinese con la bancarella al mercato del mercoledì risponde parecchio contrariato:

    "E quello no Cina, e l'altro no Cina... allora cosa Cina?!"
    antonella

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  25. Al mercato di Ragusa?

    gugl

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  26. la parola "buddità" è assente da tutti i nostri dizionari, vi è budda, buddista, buddismo, ma non buddità che è la cosa più importante visto che i budda sono coloro che ottengono lo stato vitale di buddità. Quindi ottenere la buddità è lo scopo fondamentale di ogni buddista.

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