giovedì 13 dicembre 2007

Lidia Riviello


Libro vincitore della quarta edizione del "Premio Delfini", Neon 80 (a cura della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena), di Lidia Riviello, possiede la forza contestataria della generazione che ha assistito impotente al passaggio dagli anni Settanta - ancora carichi di possibilità per la cultura di sinistra - agli anni Ottanta, decennio degli scontri fra civiltà e inizio della globalizzazione. Scrive la Riviello: "Il neon era la non-illuminazione che rendeva le nostre città, uffici, i centri commerciali, gli ingressi dei palazzi dei non luoghi, scenografi e ripetitive di uno scenario un tempo spento, ora acceso dalle nuove tecniche di illuminazione. Un piatto e lineare “luogo standard” dentro il quale prendevano vita eccentrica i feticci delle nostre società di consumo". Il neon diventa insomma il simbolo dell'autosufficienza dell'uomo ad una dimensione rispetto all'abbraccio della natura. "Con questo 'gas nobile, inerte, quasi incolore' - continua infatti la poetessa - si spegneva il sole".
Insieme a questa spinta, la poesia che qui presento evidenzia una sapiente unità compositiva, la ricerca di un suono tenuto sotto controllo, di una sordina che pure si muove alla ricerca di accordi eufonici, con splendidi passaggi assertivi, che lo stesso Sanguineti, nella presentazione, sottolinea: “'Fatti fummo per essere al neon assuefatti', 'fatti fummo di fumo per vivere di pillole e gas', 'fatti fummo di Neon, di materia infiammabile': così si intona l’Intro. E un lungo filo, tra “fatti fummo” e “fatte fummo”, si annoda su quella che è additabile, probabilmente, quale morale ultima di questa assolutamente esemplare favola, in Come nel wrestling: 'Fatti fummo per essere rivoluzionati e mai rivoluzionare'."
Il libro è accompagnato da immagini al neon di Elisabetta Benassi.

su RadioTresuite (9 luglio 2007) trovate una sua interessante intervista.



Intro

Resta, fino a dissuaderci da morte l’anima nostra
da sola senza nessun paesaggio al cioccolato,
infinitesimale progresso verso la luna,
e l’una e l’altra delle anime morte se ne torna in vita.
Resta, fino a dissuaderci da morte
l’anima nostra, contraria al corpo
Per infinitesimale scarto, per un voto lasciato nullo
resta al testo aderente.


Una società perfetta, coppie a digiuno di massa
fedeli all’acero azzurro delle cliniche new age
moscerini perversi, tanto platino per gioielli su misura,
materia e antimateria e così si procede.


Fatti fummo per essere al neon assuefatti
occhio per occhio, digitale celeste, anno del Dragone
fatti fummo per essere consumati.
Eravamo i cigni del decennio Ottanta e fatti fummo di
fumo per vivere di pillole e gas.
Quando demi moore nasceva
il Neon già arricchiva i potenti della terra e come le
mele stavamo e come i fumetti sottosopra
e le bestie splendevano placide,
nessuno superava il limite di velocità né su
autostrada né in guerra.
Cronenberg ci salvò dalla potatura dell’inconscio.


Anno Ottanta tutt’intero senza forma e ci ritrovammo
a bere coca cola, l’elettronica scosse l’anima
il canto stonò e i metalmeccanici si estinsero come
antilopi



*

Annoottantaoartificiodipolverepunk


Erano tempeste prima che fuochi d’artificio
erano tempeste
quelle che si abbatterono sulle nostre ragioni.
Negli anni del neon mancava ovunque il sole mio,
nascondevamo il falso d’autore dentro i dischi
perché non amavamo da secoli e
si occultavano beni come plastica e raso,
si risparmiava sulla gomma,
luccicavano gli aghi e l’allucinazione
era l’unica sostanza del padre.


Si conservavano i materiali del riciclo corrosi
nelle grandi città
con erba e ammoniaca, tenuti dentro confezioni lucide.
Eh sì che per costruire la nuova mente sauna
dovevano pur gelare.
Pronta la generazione dei facenti il nulla,
a piedi e a rotelle si andava
nell’anno ottanta punk e ciliegio, le anime
erano solo ragazze, tanto biondo violava il gusto
e il retro delle mutande era compromesso dalle
stupide cuciture del mercato delle pulci.
Era tutto poco originale, visto da dietro.


Le donne nell’età del neon preparavano le prime
fiale celesti con apprensione e senso del dovere,
splendenti, assolte dalle colpe delle madri,
assorte nel corpo dei giovani padri,
assortite nella vendita di rigeneratori e di
produttori di ruoli.
Belle, volpi nei giardini reali, quasi intatte all’alba
La madre in anni neon scelse di non generare più
se non tra bestie addomesticate e schive,
così generò il multiplo dell’enigma
(il bambino nacque col destino tenue, in diretta).


Fu uno shock
in età celeste avanzata, e non sapendo come fermarci
trovammo riparo anni dopo in un restauro
di legno con nessuna vista sul cielo.
Solo dal vetro e dalla resina ricavammo una consolazione,
poi ci consumammo con il dettaglio di stare dietro alle
montagne, avvento di una nuova strana confidenza,
un sesto termine della conoscenza,
vicina al declino del senso.
Si manifestò al neon una verità strillo d’anatra


Presa nessuna direzione
l’Anno Ottanta se ne volò, punk e irrisolto
come infanzia di marmo o di alghe,
e i nipoti di Stalin
diventarono adulti nelle città d’Europa
in crisalidi noir.
Tuttapunk l’azione politica,
tutto rosso vedevano i puri di spirito,


e quando si contarono i morti per elettricità
nelle offi cine brillanti del nord
le spose degli sposi divennero metalliche,
si baciarono pure i cugini senza testa
sotto il chiarore corrotto del neon,
che non offese mai la vista dei potenti


Non fece più paura la generazione precedente
ne avevamo spiato le mosse nel bosco e acquisimmo
il loro pallore, lo svogliato senso
d’appartenenza alle oasi di cemento.
E dire che pensavamo di sconfiggere
la miseria con la danza, come fanno nelle
terre ignorate dall’acqua e dalle banche del seme.



*

Il giallo del neon, amore dei vecchi 80

Tramite il riso in gola s’oscurava la mia gioventù
.........................Amelia Rosselli


Di ritorno e di altri agguati si parlava nell’anno
del Giallo spontaneo
tornava il sangue come un matto, era un matto e tornava
in me, compiuto il gelo, consumata la sindone allegorica
fece scandalo l’abbandono nel tempo dell’abbondanza.
Altri agguati segnavano il nostro tempo di lupi,
e in fi la al fast food, la prima volta fu come accedere
in edeneon, una terra fatta per noi,
una romantica cena col vampiro.
I nani sono nati prima di quelle piante
cresciute a neon e acqua piovana,
ma defi niti “privi di luce propria”
si ribellarono e fecero i lampioni sulle autostrade.
Perché i nani conservarono
il fi uto per i buoni affari
in quegli anni di neontormento
Individuammo nel Giallo spontaneo
le radici dell’odio verso gli “ultimi della terra”,
ci ritrovammo a credere a tutti i delitti irrisolti
alle prove occultate, e i ritratti dei killer
al posto delle foto di famiglia
ci tennero lontani da casa fino a tardi.
Non conoscevamo il part time
né le sfide alla paramount delle parabole.
Di cartone era ogni sogno animato
e la vanità si scaldava al neon





Quando il neon si spense

Quando il neon si spense
ci ritirammo al buio in azione nera
senza acqua minerale senza sale e senza fare
convinti che dalla città di fronte
ci avrebbero restituito il sole.
E soffi ammo due tre progetti d’alba adriatica
quando il volume delle impronte ridusse le nostre tracce
a sentieri d’IKEA.
Allora al controllo sociale anteponemmo
questa strana forma di iniziale, questo ricominciare.


Non c’è neon che si sia spento senza un perché
durante il giorno,
e quando i potenti della terra ci obbligarono
a mettere in ordine il vuoto sporco
allora facemmo esplodere le lampade ad olio conservate
nelle teche dei presidenti.
Ma l’esplosione generò un silenzio
formale, come un profumo gucci, o un tale e quale.


Quando il neon si spense eravamo pochi e dentro
oggettive speculazioni.
Salvaniente e gli umidifi catori per la veglia, perché dovevamo
ancora entrare nella velocità della luce, nella stretta


E non ci vollero ascoltare nell’anno ottanta cantare
né adottare pseudonimi di rovina e resistemmo al crollo dunque
con il video, siamo di video, nuovi e originali
gatti con gli stivali, azione immediata
Noi ci salviamo solo da vampiri con i sonniferi, e da
fenicotteri con i voli.
A forza di stare intensamente nel bosco la palude si
prosciuga.


Fummo spenti con il neon appunto.
Dicevo.

novembre 2006


Lidia Riviello, nasce a Roma dove vive e lavora. Comincia nel 1995 ad occuparsi di scrittura giornalistica collaborando con testate letterarie e di cultura come “Italian Poetry” e il settimanale “Avvenimenti”. Parallelamente alle collaborazioni con riviste e giornali, inizia dal 1998 a collaborare come autrice testi per Radiorai; per Radiorai Tre per cui cura rubriche di poesia nel palinsesto serale di “Radiotresuite”, per Radiodue scrivendo editoriali all’interno di programmi in fascia pomeridiana. La sua prima pubblicazione in volume risale al 1998 con “Aule di passaggio” poesie in prosa ediz. Noubs, nel 2001 esce “La metropolitana” poesie, ediz. Signum, Bergamo 2001; nel 2002 “L’infi nito del verbo andare” racconti, per Arlem editore, (nota introduttiva di Edith Bruck,) e nel 2005 pubblica “Rhum e acqua frizzante” (poesie, G.Perrone editore, con nota di Carla Vasio. Sue poesie e racconti sono tradotte in inglese, francese, arabo, sloveno e giapponese.
Interviste e recensioni sul suo lavoro sono apparse, tra le altre, sulle testate: “l’Unità”, “Il Manifesto”, “Marie Claire”,
“Stilos”, “Avvenimenti”, “Il Segnalibro”, sulle riviste di letteratura multilingue “El Ghibli”; “Sagarana”. Dall’ottobre del 2004 è una delle curatrici del Festival internazionale di poesia, arti visive e musica Romapoesia
(
www.romapoesia.it ). Attualmente, cura e organizza eventi e festival internazionali di poesia e letteratura per il Comune e la Provincia di Roma, partecipa come autrice a reading in Italia e all’estero e continua la collaborazione come autrice con Radiorai e per la Televisione.

10 commenti:

  1. bhe...che dire...non potevo questo che riproporlo sul mio...

    grazie gugl, bellissimo spunto.

    mitralika

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  2. la poesia che merita va fatta conoscere. riproponi pure.

    gugl

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  3. stupefacente.... un quadro perfetto, un giro a 360gradi sulla nostra squallida realtà...reale, così reale che vedi tutto, tutto nitido.
    sorprendente... tutta la storia della gente, tutto quello che ci gira intorno, tutta questa fredda desolazione, questo deserto colmo di futilità, della cenere di un prima che lascia spazio a futuri brevi ed effimeri.tutto illuminato al neon.

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  4. la potremmo chiamare "poesia civile".

    gugl

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  5. poesia civile? forse sì...

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  6. poesia civile, sociale... ma non è poi tutta la poesia civile...?

    un abbraccio

    alessandro ghignoli

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  7. c'è anche la poesia inutile :-)

    ma non il nostro caso

    gugl

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  8. Neon80 è un lavoro poetico interessante sia sul piano linguistico sia sul piano politico. Certo, si può parlare dell'impegno civile perchè c'è una critica seria al consumismo.
    Riviello (figlia non il padre) è molto brava.
    Complimenti
    M

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  9. In effetti gli anni ’80 hanno rappresentato tutto e il contrario di tutto: il superamento delle ideologie e l’inizio di nuove visioni nell’assetto politico ed economico del pianeta; l’edonismo più plastificato e la nascita di movimenti del tutto antitetici come il grunge. A sua volta il gas apre a diverse e opposte visioni nell’immaginario collettivo (dal neon, appunto, sino alle “docce” dello sterminio nazista, solo per citare due poli a distanza siderale). Tale antinomia non poteva non tradursi nella scrittura di questo poemetto, pieno di oggetti e allo stesso tempo versato a indagare nel vuoto di quegli anni, in una ricerca quasi disperata di valori. Così appassionato l’avvicinamento a quel periodo e così inevitabilmente scettico e ironico lo sguardo che, attraverso i versi della Riviello, tornano al lettore. Intimità e rumore di fondo di televisione convivono nello stesso angolo ovattato di una camera che l’autrice riscopre e che, in fondo, appartiene a tutti coloro che in quegli anni sono stati adolescenti, a tutti coloro che, dovendo scegliere tra Spandau e Duran, sentivano di attendere qualcosa di proprio, qualcosa che ancora non c’era. Lidia Riviello ci riporta quel senso di non appartenenza e sembra farlo con il sorriso di chi si è guardato indietro e ha trovato un filo rosso che può unire tempi davvero lontani se osservati attraverso i cambiamenti degli ultimi venti anni. Complimenti a chi ha ospitato questi versi e soprattutto a chi li ha scritti, usando un raro equilibrio, indispensabile per restare su quel filo rosso e poter dire “fatti fummo” per non cadere.

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  10. Qualche rapida considerazione. Raccontare, oggi, non significa rappresentare le cose (viste) come sono, poiché è possibile conoscerle meglio attraverso altri strumenti, più esatti delle parole; raccontare significa esprimere o cercare di esprimere il senso di esse. Raccontare vuol dire dare un senso; uno fra i possibili, forse, ma un senso. Molta poesia di oggi sembra invece solo lo specchio deformato del presente, di un mondo senza memoria, cioè senza passato; la rappresentazione delle cose viste in una luce senza chiaroscuri, come all’imbrunire, quando il sole è appena tramontato e non ci sono più ombre, ovvero, mancano le emozioni, oppure sono frantumate e sclerotizzate in un gergo del poetico anti-poetico, post-post-post avanguardistico. A volte, però, la poesia aspira anche a qualcosa di più: non vuole semplicemente raccontare, ma essere la mimesi stessa della vita; vuole salvare quel che vede, o ha visto, e ha l’ambizione di dire la vita così com’è, senza volerle trovare (dare) un senso “ulteriore”, “altro”. Non è cosa facile e non sempre ci riesce. Quando accade è solo in virtù dello stile. È il caso di “Neon 80”, questo poemetto di Lidia Riviello, recente vincitore del Premio Delfini. La geografia è quella degli anni 80, fatta di luoghi standard, luoghi senza ombre, senza chiaroscuro, immersi nella non-luce di un pensiero debole e disimpegnato, quello della generazione del ‘tutto-detto’, ‘tutto-fatto’, ‘la-rivoluzione-è-finita, l’hanno-fatta-altri, guarda-com’è-finita’, ‘hanno-già-pensato-tutto, l’hanno-anche-ripensato’, ‘a-noi-non-resta-niente-altro-che-questa-selva-di-non-luoghi', 'il nostro è il tempo in cui cominciano a farsi adulti insieme a noi i primi feticci della società del consumo’, ecc. ecc.
    Chi individua nella levità il maggior difetto di questo poemetto, credo che sbagli. Forse è vero che il contenuto sarebbe potuto essere più denso e pregnante, ma, in fondo, la ‘levità’ è frutto della rapidità e della fluidità di questa ricognizione, primo gradino di un’ascesa anche dolorosa. Si tratta, in altre parole, della prima stazione di un viaggio, che si annuncia lungo e doloroso, di consapevolezza e di approfondimento di un periodo della nostra storia recente che Lidia Riviello sente – e questo almeno si avverte senza riserve – con grande intensità e che vuole ritrovare e indagare con serietà e con tutta la severità di cui è capace, insomma con determinazione (in fondo quegli anni ottanta furono il tempo della sua crescita, della primissima adolescenza, quando cioè si comincia a sperimentare il mondo; il tempo del suo fiorire, della sua primavera, mentre altro appassiva, e del suo acquisire consapevolezza di sé e della vita.
    Il passato si può rivivere per virtù della memoria e della poesia: per virtù della memoria, con la saggezza di chi viene storicamente dopo; per virtù della poesia, con la trepidazione e l’imprevisto di chi è contemporaneo. In “Neon 80” c’è trepidazione e imprevisto. Piccoli difetti sono ancora certe durezze dello stile, altrimenti convincente e già maturo. Per finire in modo semiserio,a me sembra, tutto considerato, che il maggior difetto del poemetto sia proprio l’avallo.
    FD

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