sabato 8 dicembre 2007

essere e tempo


Un mese fa, Stefania Roncari ha tradotto per noi un frammento di Pascal Quignard tratto da Le ombre erranti. Oggi ci propone una pagina di Sur le jadis (Gallimar 2002). La questione è capitale, riguardando la relazione tra linguaggio e temporalità. Rimettendo in gioco implicitamente Severino (ed Eliade), ma lasciando tuttavia aporeticamente aperta la questione del divenire, in questa pagina Quignard esprime un dissenso morale alla secolarizzazione, alla perdita del sacro quale energia pervasiva del luogo. Rimane indeterminata, invece, la forza che ha reso irreversibile il reversibile: c'è necessità ontologia in questo passaggio oppure la questione non è posta nel libro? (Si pensi, per contrasto, all'analisi heideggeriana della storia della dimenticanza dell'essere in quanto storia dell'essere tout court). Benvenga dunque un'altra pagina tradotta di questo interessante autore francese, se ci aiuta a risolvere la questione.





"Il linguaggio è l’unica resurrezione’ di ciò che è scomparso.
Ciò permette di rispondere al primo enigma: perché l’estasi del passato è diventata un’estasi del linguaggio.
C’è un secondo enigma.
Due passati possono essere confrontati: il passato come teofania. Il passato come lutto.
Ci sono due sorgenti del tempo.
Il tempo non è un dato oggettivo dell’esistenza animale anche se non smette di sorgere e di proliferare nella fauna e dalla flora, dalle prime onde che si alzarono sul primo mare ansimante, mugghiarono dopo la figura lunare a quel tempo così vicina.
Per millenni il tempo fu un puro scaturire. Lo spazio nascente. Il tempo fu puro ‘scaturire’ (issir) nel qui.
Il divenire spingeva in avanti ad ogni stagione come ritorno verso la sua forza più grande, verso il suo seme fecondante. Il tempo aveva uno scopo: era ciò che la lingua francese chiama in modo meraviglioso la primavera (le printemps). I Romani la chiamarono Ver e se nominarono primum tempus, fu per segnare il primo tempo – il tempo forte secondo il tempo. Il primo tempo è l’origine temporale. La primavera è la nascita (phanie) stessa. Divergendo dal nascente e poi opponendosi, l’irreversibilità ha orientato i morti per millenni (i cumuli di pietre impedirono il loro ritorno), mentre la reversibilità si volgeva alla natura che i viventi cercarono d’imitare.
Tutti i rituali sostenevano la spinta (in latino pulsio) della forza vivente dispersa nella natura e nella vita – retro-fondo del luogo dove si sono evoluti e che chiamarono forza."

1 commento: